Bruxelles, i burocrati italiani non vogliono D’Alema ministro

Roma«Niente accordo, ancora troppi nomi e troppe divisioni», comunica la presidenza svedese dopo un altro giro di telefonate in tutta Europa dedicate alla scelta del presidente Ue e di Mister Pesc. Proprio Stoccolma comunque, fa sapere che il suo commissario sarà Cecilia Malstrom, ministro degli Affari europei, il che dovrebbe mitigare la protesta delle europarlamentari - anche ieri all’attacco per una effettiva parità negli incarichi - e cancellare l’ombra di Bildt come Mister Pesc.
Solo che per Massimo D’Alema più passano i giorni e più si alzano ostacoli imprevisti. Di ieri due autentiche mazzate e un borbottio sullo sfondo che non lasciano presagire nulla di buono. Cominciamo dall’ultimo elemento: da qualche giorno, nella capitale comunitaria, circolano volantini ed e-mail di funzionari italiani che fanno capo al Pdl che mostrano di non gradire affatto l’idea del Líder maximo alla guida della politica estera europea e numero due della commissione. Fanno sapere che a Bruxelles c’è una stragrande maggioranza di italiani che lavorano all’Ue che non nascondono il loro essere di sinistra, e che fino a ieri complottavano un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi e il suo governo. Possibile che ora gli si debba offrire su un piatto d’argento un catalizzatore che potrebbe stoppare la loro crescente diaspora materializzando tra l’altro l’ennesima frustrazione a quei pochi che sostengono invece la maggioranza?
Non è una lite di ballatoio. Ma un segnale che va colto, anche se comunque i rischi per l’incarico D’Alema li corre su altri, ben più significativi versanti. Di ieri, un robusto attacco del Financial Times all’ipotesi di una sua nomina. Scrive in un editoriale Tony Barber,che intanto c’è il suo passato comunista: vero che l’uomo ha abbandonato da tempo falce e martello ma resta il fatto che sia stato il premier «più a sinistra che l’Italia abbia mai avuto fino ad oggi». Ancora, ci sono le sua carenze linguistiche: «Folle per l’Unione europea avere un capo della politica estera che non parli un inglese fluente». E a questi capi d’accusa ce n’è da aggiungere un altro: «D’Alema - annota Barber - non è stupidamente antiamericano, ma è un austero intellettuale di sinistra che gronda disdegno culturale per gli Stati Uniti». E a tutto ciò l’editorialista fa seguire il sospetto che Berlusconi lo stia candidando fidando nella già sperimentata capacità dell’esponente del Pd di «autodistruggersi». Come starebbero a testimoniare non solo la sua presidenza della Bicamerale, ma anche il suo esser «ferrato negli intrighi politici italiani» che lo portò «a cospirare per far cadere il suo collega di schieramento Romano Prodi nel 1998» in modo da prenderne il posto.
Un giudizio che è stato interpretato a mo’ di epitaffio nella capitale belga; anche perché qualche ora dopo - discutendo delle nomine in ballo nel summit di domani sera - dopo che il gran capo dei popolari, il francese Daul, aveva fatto sapere (in relazione a D’Alema) di non «voler fare la caccia alle streghe», il suo vice, l’ungherese Jozsef Szajer se n’è uscito senza peli sulla lingua, chiarendo come sarebbe «un pessimo segnale nei paesi dell’ex Europa dell’Est vedere in una posizione così elevata della Ue un ex comunista, sebbene proveniente da un paese democratico».


Ancora problemi per la candidatura D’Alema potrebbero giungere da Madrid, anche se lo spagnolo Solana ha esortato ad eleggere al suo posto proprio l’ex segretario del Pds, in questo seguito dai liberali dell’europarlamento. «Ma il gioco - hanno tenuto a ricordare in tanti - non è nelle mani dei partiti, quanto dei governi». Sulle cui decisioni la nebbia è ancora fitta.

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