Bush ai democratici: «Lavoriamo insieme»

Ho invitato Nancy a una colazione di lavoro: dialogheremo, ma so che lei non abbandonerà i suoi principi, come del resto io non abbandonerò i miei

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Vento nuovo alla Casa Bianca, o almeno nuovi ospiti. Ventiquattro ore dopo gli addii a Donald Rumsfeld, ecco il benvenuto a Nancy Pelosi. Sollecitato dalla speaker della nuova Camera a «lavorare assieme per trovare una via d’uscita dall’Irak», Bush ha risposto subito invitandola a colazione. Per un incontro di lavoro, naturalmente, con menu «à la carte». È stato il primo gesto di conciliazione verso l’opposizione diventata maggioranza, dopo l’annuncio della dipartita di Rumsfeld e un generico impegno a «lavorare assieme al di là dei partiti» preso in una breve apparizione dopo una riunione del «consiglio dei ministri» cui ha partecipato per la prima volta il nuovo ministro della Difesa, Robert Gates.
Non costituisce in sé una sorpresa che Bush abbia teso la mano agli avversari: ne ha bisogno lui e ne ha bisogno il Paese, che non potrebbe permettersi due anni di paralisi politica fino cioè alle nuove elezioni per la Casa Bianca. Ha sorpreso, semmai, la rapidità della reazione di Bush e, ancor più, la scelta dell’interlocutore. Che è istituzionalmente corretta, dal momento che la Pelosi ricoprirà dal gennaio prossimo la terza carica dello Stato, ma che ha anche un significato politico, in quanto il presidente avrebbe potuto cominciare il dialogo con interlocutori democratici meno ostici, fra i tanti moderati e «conservatori» eletti martedì. Nancy appartiene notoriamente all’ala più di sinistra del Partito democratico e soprattutto è nota per il suo linguaggio polemico, autrice com’è dei più velenosi attacchi contro la politica di Bush, non solo durante la campagna elettorale, ma fin dall’inizio della guerra in Irak, cui la Pelosi è sempre stata duramente contraria.
«Dialogheremo - ha detto Bush prima di invitarla -, ma so che lei non abbandonerà i suoi principi, come del resto io non abbandonerò i miei». E Nancy infatti aveva ribadito meno di ventiquattro ore prima la richiesta, quasi la precondizione, dell’allontanamento di Rumsfeld. L’aveva detto al presidente in persona durante la sua breve chiamata di congratulazioni per la vittoria democratica alla Camera e subito dopo aveva commentato: «Spero che ascolti». Quando ha appreso che Rumsfeld davvero se ne andava, ha commentato con un «grazie al cielo il presidente l’ha capita. Penso che questo sia il segnale che è disposto a cambiare rotta in Irak, spero per il meglio». Bush ha precisato, nella breve dichiarazione di ieri, che l’allontanamento di Rumsfeld non è legato al risultato delle elezioni, ma era già stato deciso prima. Anche se Bush in persona aveva promesso quarantotto ore prima del voto che il capo del Pentagono sarebbe rimasto al suo posto «fino alla fine del mio mandato».
Ma le necessità politiche si impongono e la realtà dice che l’interlocutore democratico numero uno si chiama Pelosi e viene da San Francisco, culla del «pacifismo» americano. Ci sono tuttavia altri problemi, soprattutto altri progetti legislativi su cui un accordo è possibile, con la nuova legislatura, mentre il capo della Casa Bianca si riserva di dare la precedenza ai documenti più controversi (il trattato nucleare con l’India, l’ingresso del Vietnam nell’Organizzazione mondiale del commercio e soprattutto una legge che permetta le intercettazioni sulle persone sospettate di collusione con i terroristi). Fino alla fine dell’anno, infatti, siede ancora il vecchio Congresso, quello a maggioranza repubblicana.
Per il futuro la Pelosi avrebbe dato a Bush una garanzia: quella di non avere intenzione di avviare contro di lui un procedimento di impeachment per «abuso di potere». L’accordo più difficile è naturalmente quello più urgente, l’Irak. È improbabile che Bush sia disposto a effettuare una correzione di rotta troppo vistosa. C’è chi pensa che potrà giovargli la personalità del nuovo ministro della Difesa Gates. Fra gli ottimisti c’è Lawrence Korb, viceministro della Difesa nel governo Reagan: «Non solo è andato via Rumsfeld, ma arriva Gates e questo può significare che si deciderà qualche forma di ritiro graduale dall’Irak».

Altri ricordano però che è rimasto al suo posto il vicepresidente Cheney, l’altro «falco» dell’amministrazione e che comunque le decisioni continuano a spettare a Bush, non solo e non tanto in quanto presidente, ma anche e soprattutto perché egli è e resta il comandante in capo.

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