Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Irak-Vietnam? Un paragone che fanno in molti, alcuni da tempo, altri soltanto in seguito al deterioramento della situazione a Bagdad. L’Amministrazione americana l’ha sempre respinto, ma il presidente George W. Bush ieri l’ha fatto suo, però in un differente contesto e traendone una lezione molto diversa, che si riassume in una parola: «Pazienza». Gli Stati Uniti sono stati sconfitti nel Sud-est asiatico perché non ne hanno avuta abbastanza, ma adesso «abbiamo imparato in Irak qual è la lezione del Vietnam: se non ce ne andremo, vinceremo; e non ce ne andremo finché non avremo assolto il nostro compito fino in fondo. Non ascolteremo gli impazienti che vogliono tutto e subito e chiedono il ritiro delle nostre truppe. Ascolterò il parere di tutti, ma - insiste Bush - bisogna avere pazienza perché ci vorrà del tempo e bisogna saper aspettare. Ma l’ideologia della speranza, che è poi l’ideologia della libertà, finirà col prevalere su quella dell’odio, che si esprime nel terrorismo». Il presidente non si è espresso sulle rivelazioni di un quotidiano londinese secondo le quali egli si appresta a far partire per l’Irak altri 30mila soldati di rinforzo ai 150mila attualmente sul posto. Bush ha solo ripetuto che si consulterà «con i generali» e con i leader del Congresso prima di decidere mosse del genere. Nessun commento neppure sui conteggi fatti ieri a Washington, secondo cui il governo dovrà chiedere al Congresso altri 150 miliardi di dollari per coprire i costi di un altro anno di guerra in Irak e in Afghanistan.
Bush parlava avendo a fianco il primo ministro di un Paese come l’Australia, fedelissimo alleato dell’America anche in Irak, ma il resto della sua visita si svolge in uno scenario molto insolito per il capo della Casa Bianca. Il Vietnam è un Paese ex nemico, anzi l’unico Paese ad avere vinto una guerra contro gli Stati Uniti, sia pure su un piano non strettamente militare, ma perché gli americani a un certo punto si sono, appunto, stancati. E questo Paese si è mostrato per quello che è, al di là del suo boom economico e la sua apparente conversione all’economia di mercato.
Il percorso presidenziale dall’aeroporto alla capitale passa davanti al mausoleo di Ho Chi Minh, che include le spoglie della guerra vittoriosa. Ma passa anche dal luogo in cui durante la guerra fu abbattuto l’aereo pilotato da John McCain, candidato alla presidenza per il 2008 e che fu detenuto per molti anni ad Hanoi e ripetutamente torturato; esperienza con cui l’esponente repubblicano ha motivato la propria preoccupazione per i maltrattamenti dei prigionieri iracheni e afghani. Prima di cominciare a parlare di affari, Bush ha reso le visite di prammatica, tre come accade in questi regimi: al presidente della Repubblica, al primo ministro e al segretario del Partito comunista, che lo ha accolto nella pomposa sede, la facciata adorna di emblemi falce e martello. In tutte e tre le occasioni è stato fatto accomodare sotto giganteschi busti in bronzo di Ho Chi Minh. Ma per il resto è stato accolto con molta cortesia e gli scambi di saluti hanno incluso da ambo le parti accenni alla riconciliazione. «Sì, in un certo senso sono meravigliato di trovarmi qui, in Vietnam, ma poi rifletto che la storia è in marcia su percorsi molto lunghi, che le società evolvono e che i rapporti possono sempre migliorare. Stati Uniti e Vietnam si sono riconciliati, e ciò nutre la speranza che questo possa accadere in altre situazioni, che i Paesi possano sormontare le loro divergenze di fronte al bene comune». Un accenno, dunque, alla tensione con la Corea del Nord, che Bush, lo ha ripetuto anche ad Hanoi, ritiene che possa essere risolta in via pacifica e diplomatica.
A questo proposito saranno utili i colloqui che il presidente Usa ha in calendario in Vietnam con il presidente russo e soprattutto con il leader cinese, nell’ambito dell’incontro annuo dell’Apec, l’Organizzazione per la cooperazione economica nell’Asia e nel Pacifico, che è l’occasione ufficiale del suo periplo nell’Asia orientale. Il viaggio era in programma da molti mesi, ma è chiaro che, dopo il risultato negativo delle elezioni per il Congresso, Bush si attende un rilancio del ruolo e della «credibilità» dell’America in un’area del mondo che comprende più del decuplo degli abitanti del Medio Oriente.
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