Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Washington, cosa resta e cosa cambia dopo la sconfitta elettorale repubblicana. Non cambiano le linee essenziali della politica estera Usa, assicura Condoleezza Rice in una intervista a un giornale di Singapore, prontamente rilanciata dal Dipartimento di Stato: la perdita della maggioranza in Congresso «non inciderà minimamente sulla volontà dellamministrazione Bush di continuare la nostra missione in Irak fino a quando non saranno raggiunti gli obbiettivi». Linguaggio più duro di quello del presidente stesso, che si rivolge a un pubblico americano e non straniero e può dunque permettersi di parlare di «prospettive nuove in Irak», di discuterne con i leader democratici e di lasciar cadere Donald Rumsfeld, accedendo infine alle richieste dei militari. Il processo, naturalmente, non si arresterà qui: dopo ogni elezione, vincitore o sconfitto, un presidente reimpasta in qualche modo il suo team, di governo e intellettuale-ideologico. Già prima del voto si prevedeva una diminuzione del prestigio e del ruolo del clan dei «neoconservatori», nellAmministrazione e nel Partito repubblicano. Inevitabile e riconosciuto dai leader più noti del «movimento», che si erano distanziati via via dalla Casa Bianca nelle settimane precedenti il voto.
Sul piano operativo il primo in lista è John Bolton, ambasciatore alle Nazioni Unite e uno degli uomini più discussi del team di governo, anche perché lo impone il calendario. A Bolton, già sottosegretario di Stato ai tempi di Powell e «falco» ultimamente noto soprattutto per la sua linea intransigente nei confronti della Corea del Nord, è mancata infatti la ratifica del Senato a causa della forte ostilità dei democratici e dei dubbi di qualche repubblicano. Il prolungarsi del dibattito in Commissione indusse Bush a una manovra spregiudicata anche se perfettamente legale: approfittando di una vacanza del Congresso, Bolton fu nominato con un decreto ed entrò in funzione immediatamente. Però ad interim in attesa di una ratifica a scadenza. Il passaggio del Senato ai democratici esclude ora che egli possa essere confermato e allora Bush ha annunciato che presenterà la richiesta di ratifica con urgenza finché resterà in vita il «vecchio» Senato repubblicano, cioè entro gennaio. Ma i democratici hanno annunciato che si batteranno contro Bolton, se necessario ricorrendo allostruzionismo e inoltre un senatore repubblicano si è dichiarato subito contro di lui. La Commissione esteri competente si compone di dieci repubblicani e otto democratici e dieci sono i voti richiesti, ma il senatore Chafee, sconfitto martedì scorso dal rivale democratico, farà mancare il suo voto: «Non appoggerò - ha detto - qualcosa contro cui si è espresso il popolo americano». LAmministrazione promette battaglia, ma in realtà ha già pronta una seconda scelta, Zalmay Khalilzad, di origine mediorientale e attualmente ambasciatore a Bagdad. È anche possibile che una rinuncia a Bolton faccia parte di un do ut des in cambio dellappoggio o della «benevola neutralità» dei democratici in altri voti del Senato che Bush considera urgenti. Non si sa se un eventuale compromesso includa la discussa legge sulle intercettazioni telefoniche.
In seno al Partito repubblicano si traggono conseguenze della sconfitta anche in settori diversi dallIrak. I «moderati» chiedono una revisione dellimpostazione generale del partito, ma il loro peso, già scarso, è stato ulteriormente ridotto dal risultato elettorale, dal momento che sono «moderati» la maggior parte dei senatori e dei deputati che hanno perso il seggio, mentre si è rafforzata allinterno del partito la destra. Che però non è più tanto unita.
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