Morto a 76 anni Sven-Göran Eriksson. A gennaio l'annuncio: "Ho il cancro"

È morto a Stoccolma l'ex tecnico di Roma, Fiorentina, Sampdoria e dello storico scudetto della Lazio. Svedese elegante, flemmatico e ironico, ha lasciato un marchio indelebile sul calcio moderno

Morto a 76 anni Sven-Göran Eriksson. A gennaio l'annuncio: "Ho il cancro"

Un altro pezzo del calcio di una volta ci lascia, in silenzio, con quell’eleganza che l’aveva contraddistinto nella sua colorita esistenza terrena. Aveva allenato ovunque, vinto tanti trofei ma quello storico scudetto all’ombra del Cupolone non l’aveva mai dimenticato. Sven-Goran Eriksson è morto oggi a 76 anni per le conseguenze della malattia che l’aveva costretto qualche tempo fa ad abbandonare il mondo del calcio. La notizia è arrivata nel primo pomeriggio di lunedì con uno stringato comunicato della famiglia: "Dopo una lunga malattia, Sven è morto questa mattina nella sua casa, circondato dalla famiglia. La famiglia chiede rispetto per il loro desiderio di piangere la sua dipartita in forma strettamente privata".

Il tecnico svedese va quindi a raggiungere una delle stelle di quella storica formazione che nessuno sulla sponda biancoceleste del Tevere non ha mai smesso di celebrare, quel Sinisa Mihajlovic che ne era stato il cuore e l’anima. Questo nordico molto particolare, che sembrava capace di navigare le difficili acque dell’universo pallonaro con flemma e distacco quasi olimpico, si è lasciato dietro le tante polemiche legate alla sua reputazione di bon vivant e playboy impenitente ma saranno in molti a rimpiangere la sua signorilità e la sua normalità in un mondo perennemente sull’orlo di una crisi di nervi.

Sven Goran Eriksson 1

Il coraggio dell’ottimismo

Nonostante le voci si rincorressero da mesi, la conferma ufficiale è arrivata nel gennaio 2024, quando, in un’intervista ad una radio svedese, aveva confermato la serietà della malattia. Il verdetto dei medici è di quelli che lasciano poche speranze: tumore al pancreas inoperabile. Il tecnico svedese ne aveva parlato come se fosse la cosa più normale del mondo: “Sono collassato improvvisamente mentre facevo una corsa di cinque chilometri, dopo un consulto medico ho scoperto di avere avuto un ictus e che avevo già un tumore. Non so da quanto tempo, forse un mese, forse un anno”. Anche di fronte al verdetto più atroce, il 76enne è rimasto comunque positivo: “In realtà nessuno può esserne sicuro con certezza, è meglio non pensarci. Puoi in qualche modo ingannare il tuo cervello, pensare positivo e vedere le cose nella maniera migliore, non perderti nelle avversità, perché questa ovviamente è la più grande di tutte, ma ricavarne comunque qualcosa di buono da questa esperienza”.

Sven ha voluto lasciare il palcoscenico alla sua maniera: incurante dell’avanzare della malattia aveva fatto una specie di tour, fermandosi in Italia alla Sampdoria e alla Lazio, togliendosi anche la soddisfazione di allenare, anche solo per un giorno, il Liverpool, impegnato in una sfida tra leggende contro l’Ajax. Questi ultimi mesi sono raccontati da un documentario pubblicato il 23 agosto su Amazon Prime, che contiene un toccante messaggio d’addio: “Ho avuto una bella vita, sì. Penso che tutti noi abbiamo paura del giorno in cui moriremo. Ma la vita riguarda anche la morte", dice, "Spero che alla fine la gente dirà, sì, era un brav'uomo, ma non tutti lo diranno. Spero che mi ricorderete come un ragazzo positivo che cercava di fare tutto il possibile. Non dispiacetevi, sorridete. Grazie di tutto, allenatori, giocatori, il pubblico, è stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi e prendetevi cura della vostra vita. E vivetela. Ciao”.

Eriksson Liverpool Ajax Marzo 2024

Un lungo addio

Dopo essere scomparso dai radar del grande calcio da qualche tempo, rifugiatosi nella sua Svezia, dove era diventato direttore sportivo di una squadra di terza divisione, il Karlstad Fotboll, la notizia del suo abbandono per non meglio specificate ragioni di salute aveva allarmato i tifosi di tutto il mondo. Nonostante i 75 anni, Sven-Goran Eriksson non riusciva a staccarsi da quel mondo che gli aveva dato così tanto da quando, nel lontano 1977, aveva preso la guida di una squadra minore in Svezia, il Degerfors, prima di passare al ben più importante Goteborg ed alzare al cielo il suo primo trofeo internazionale, la Coppa Uefa. La dichiarazione apparsa sul sito della società era asciutta, fin troppo sintetica per non sollevare qualche sospetto. "Ho scelto di limitare i miei compiti per il momento per dei problemi di salute che stiamo esplorando. Mi concentrerò sulla mia salute e la mia famiglia. Vi chiedo di rispettare la mia decisione e la mia privacy".

Sven Goran Eriksson 2

Il riserbo assoluto tenuto dal clan Eriksson aveva fatto temere il peggio, sospetto che purtroppo si è verificato. L’avvocato, interpellato dal quotidiano svedese Aftonbladet, aveva però confermato che la malattia non era riuscita a piegare l’irresistibile voglia di vivere del tecnico: "Non ha l’energia del solito ‘Svennis’ e non ci può fare molto. Allo stesso tempo, però, vuol continuare a fare il possibile nel calcio. Perché lo fa? Altrimenti si annoia". Una frase che potrebbe essere un epitaffio perfetto per la vita e la carriera di un allenatore sicuramente lontano mille miglia dai luoghi comuni. Nel bene o nel male, Eriksson era davvero unico, capace di farsi scivolare tutto addosso, dai trionfi alle sconfitte più dolorose, dalle umiliazioni alle critiche più feroci. In questo era davvero unico.

La mitica Lazio dello scudetto

Tutta la flemma del mondo, però, sembrava svanire appena atterrava a Fiumicino, nella Roma che gli aveva voluto tanto bene. In una lunga intervista al sito britannico The Athletic, Eriksson ripercorre la cavalcata trionfale che portò la sua Lazio al secondo, storico, scudetto della stagione 99/00. Dalle sue parole si capisce come l’amore del popolo laziale abbia lasciato il segno nel suo cuore, come la pazzia di quella giornata irripetibile, quando fu costretto a lasciare la macchina all’Olimpico ed essere scortato dalla polizia per sfuggire all’incontenibile affetto dei tifosi, non se la sia mai dimenticata.

Sven Goran Eriksson festeggia con la Lazio
Sven Goran Eriksson festeggia lo scudetto con la Lazio

Certo, c’è la delusione per non essere riuscito a vincere di più con quella incredibile collezione di campioni, quello che Mancini non tanto tempo fa definiva “uno squadrone”, capace di schierare allo stesso tempo Nesta e Mihajlovic in difesa, Diego Pablo Simeone e Veron al centrocampo, Nedved e Conceiçao sulle ali e la coppia Mancini-Salas in avanti. I tempi della quotazione in borsa, delle spese pazze di Cragnotti per Crespo e Vieri, vennero poi seguiti dal collasso della Cirio e l’arresto del presidente della Lazio. Eriksson se n’era già andato, accasandosi alla guida dell’Inghilterra, ma quell’esperienza lo avrebbe segnato per tutta la vita.

Eriksson Lazio 1995

Non era la prima esperienza dello svedese in Italia ma fino ad allora si era ritrovata appiccicata addosso l’etichetta del "perdente di successo", quando nel 1987 aveva perso un titolo con la Roma e negli anni a Firenze e Genova, quando, a suo dire, non aveva avuto i giocatori giusti per vincere. Cragnotti l’aveva chiamato per una sola cosa: vincere, non importa quanto sarebbe costato. Eriksson gli presentò una lista della spesa da far rabbrividire, tanto da costringere anche il munifico presidente a scaglionare gli arrivi in tre anni. Una volta riuniti a Formello Mancini, Mihajlovic e Veron, il titolo era arrivato. Eriksson chiese a Cragnotti perché non li avesse fatti arrivare prima, così da vincere tre scudetti di fila. La risposta lo lasciò basito: "Uno scudetto mi basta e avanza".

Allenatore giramondo

Per ripercorrere la carriera di Sven-Goran Eriksson servirebbe leggere uno dei tanti libri che ne hanno già raccontato le imprese. Il cammino dello svedese, però, non assomiglia a quello di nessun altro tecnico di livello. Nato nel 1948, aveva provato a farsi strada nel calcio di casa, senza però riuscire a sfondare in prima divisione. Terzino non particolarmente dotato dal punto di vista tecnico, fu costretto a lasciare a soli 27 anni per un grave infortunio. Eriksson non se la prese più di troppo ed iniziò a fare da assistente al suo ex compagno di squadra Tord Grip in terza divisione, prendendone il posto neanche due anni dopo.

Eriksson Roma 2001

Sven se la cava in panchina, facendo talmente bene da attirare l’attenzione di una delle superpotenze del calcio svedese, il Goteborg. Dal 1979 in avanti vince pure parecchio, cinque trofei, inclusa l’impresa in Coppa Uefa, fatto più unico che raro da quelle parti. Per entrare di diritto nel novero dei tecnici più vincenti di sempre, però, serve uscire dalla gabbia dorata della Scandinavia e trasferirsi in un paese che il calcio lo prende molto più sul serio, il Portogallo. All’Estadio da Luz, alla guida del Benfica, Eriksson fa grandi cose, tanto da garantirgli il passaggio nella Premier League del tempo, la ricchissima Serie A. Gli anni passati a Trigoria e all’ombra del Duomo di Firenze non gli portano grandi soddisfazioni ma sono comunque fondamentali nella sua evoluzione. I successi arrivano quando torna a Lisbona dal 1989, ma Sven-Goran non riesce a stare troppo tempo in una città. I cinque anni passati a Marassi, provando a raccogliere la pesante eredità del maestro Vujadin Boskov non sono semplici ma gli aprono le porte al passaggio alla Lazio, dove avrebbe vissuto la sua stagione più bella.

Eriksson Lazio Roma 2022-23

Inimitabile Sven

Proprio quando sembrava pronto ad entrare nell’empireo dei più grandi di sempre, la carriera dello svedese si complica non poco. Primo tecnico straniero a guidare l’Inghilterra, il rapporto tra lui e la perfida stampa inglese diventa altamente conflittuale nel giro di pochi mesi. Nonostante avesse a disposizione una delle generazioni più promettenti dell’ultimo secolo, i Three Lions si fermano per tre volte ai quarti di finale. I tanti scandali rosa che lo circondano resero il clima invivibile, tanto da costargli la panchina dopo Germania 2006.

Eriksson Rush Barnes Liverpool Ajax

Da lì in avanti, Eriksson sembra perdere la bussola. Alla guida del Manchester City pre-Qatar dura meno di due anni, sulla panchina del Messico dura ancora meno, per poi passare ad una toccata e fuga al Notts County nel 2009, finita tra l’ilarità collettiva. Quattro mesi con la Costa d’Avorio, poco più di un anno al Leicester per poi scegliere di cambiare del tutto orizzonti, accettando panchine prima a Dubai e poi in Cina, dove passerà cinque anni tra Guangzhou e Shanghai.

L’ultima panchina importante lo porterà ancora più lontano dal cuore pulsante del calcio, nelle Filippine, due anni alla guida della nazionale asiatica senza grandi soddisfazioni. Un finale in tono minore per la carriera di un tecnico davvero unico.

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