Se ne stanno tutti rannicchiati e sconsolati nella sala d'aspetto dello psicologo di famiglia. La porta si apre ritmicamente ed entrano mestamente in fila indiana. Prima mamma Maria, poi papà Carlos Alberto. Quindi gli zii e poi tutti gli altri familiari. Pare una seduta di gruppo perché è una seduta di gruppo. I pazienti? L'intera famiglia Simeone. La voce è increspata. Gli raccontano che il figlio se la cava parecchio col pallone. Che gioca nel Velez. Che non capiscono come sia possibile che se ne vada di casa a vent'anni, senza nemmeno averne parlato prima con loro. Il dottore, pensoso, annota tutto su un taccuino. "Sa, una cosa sarebbe stata un'altra squadra in Argentina. Ma l'Italia! Pisa!". Maria erompe in un pianto disperato. Fa la parrucchiera da un pezzo e quel mondo patinato l'acceca. Il padre invece si è disimpegnato tra i dilettanti, ma adesso è un venditore. Sono tutti tremendamente sconvolti.
Il fatto è che quella telefonata è arrivata senza preavviso. Nel 1990 il Pisa fa la Serie A ed ha urgenza di rinforzarsi. Romeo Anconetani, il presidentissimo, pretende che gli venga sottoposta una lista di giovani promesse sudamericane. Giunge in sede un fax proveniente dall'Argentina. Documento ermetico: c'è una sfilza di calciatori, ma le informazioni languono. Soltanto nome, ruolo, altezza, peso. Nulla sul loro modo di giocare o sul carattere. Tocca affidarsi all'intuito. Romeo si inumidisce un polpastrello e scorre l'indice lungo il foglio. Si ferma dove c'è scritto Diego Pablo Simeone. "Ecco, voglio questo qui. Mi garba, ha la faccia decisa", narra la leggenda. Il figlio Adolfo racconterà in seguito una verità più accurata: "Ce lo segnalò il procuratore Settembrini".
Il Pisa deve muoversi per soffiarlo al Verona. Trilla il telefono dell'agente del Cholo. Gli danno 24 ore di tempo per rispondere. A quelle condizioni lì, avvisare la famiglia diventa intricato. Anche perché si trovano tutti in vacanza in quel momento. Sono irraggiungibili. Il ventenne Diego rimugina in fretta e scioglie le riserve. "Ci vado", mormora al suo procuratore.
Con lui, dall'Argentina, arriverà anche un altro duro: il difensore José Antonio Chamot. La proprietà però non si ferma qui: ingaggia dal Cosenza anche la punta Michele Padovano per assicurarsi un perno che vada in doppia cifra e un luccicante danese, Henrik Larsen, dal Lyngby. Un gruppo promettente, ma Simeone ci mette un po' ad adattarsi. Per facilitare il processo, a turno, vola a casa sua un familiare diverso. Prima la mamma ovviamente. Poi il papà. Quindi lo zio. Stanno tutti tre mesi, finché lo svezzamento non si completa. Lui prende gradualmente possesso della città. Fa jogging sul viale alberato delle Piagge, che costeggia l'Arno. Va a spasso in centro tra piazza dei Cavalieri e Borgo Stretto. Si interessa anche delle viuzze minori. Ad un certo punto si ambienta talmente bene, racconterà sempre Adolfo Anconetani in seguito, che con quell'espressione da smargiasso azteco dirà di stare male per una partita, mentre invece è a gingillarsi in discoteca.
Risibili incrinature giovanili in un carattere battagliero. Mircea Lucescu, che resta direttore tecnico dei nerazzurri fino al mese di marzo, lo scruta dal campo. E forse è proprio qui che nasce il futuribile cholismo. "Lo guardavo muoversi. Non aveva una gran tecnica. Colpiva solo di piatto. Ma sapeva stare in campo e dava indicazioni anche a quelli più grandi di lui. Fu in quel momento che pensai: questo diventerà un signor allenatore".
In quell'anno che conduceva alle notti magiche il calcio italiano viveva un surreale cimax. Il Pisa si trovava a fronteggiare il Napoli di Maradona, il Milan di Sacchi, la Juve di Baggio. Corazzate che incutevano deferenza. Lui però si esaltava proprio quando l'avversario era superiore. Al debutto, contro il Lecce, fa un gol incredibile: palla che arriva da destra, "sombrero" col destro al difensore e botta al volo di sinistro. Roba che "Maradona scansati". Ma non era certo quello il pezzo forte della casa.
Diego è provvisto di un'intelligenza calcistica notevolmente superiore alla media. Da giocatore - centrocampista d'interdizione e di dirompente inserimento - inizia ad applicare concetti che gli verranno particolarmente utili in panchina, contribuendo al suo lungo regno sulla sponda biancorossa di Madrid. Primo: consapevolezza dei propri mezzi. Se non sei bravo come gli altri, inutile lagnarsi. Sopperisci in altro modo. Secondo: rendi difficile il calcio altrui. Terzo: lascia sempre il cuore sul campo. Tutto qua. Ma passare dalla teoria alla pratica è faccenda per pochi.
E pazienza se l'avventura sotto alla torre (55 presenze e 6 reti) non andrà esattamente come avrebbe sperato: una retrocessione al primo anno, la cessione al termine del secondo.
Il virgulto Simeone non sfonda subito, ma sfonderà. Quello che fermenta a Pisa è però il primo fondamentale estratto di una visione calcistica destinata a ribaltare imperi logori in serie. Dallo psicologo, adesso, fanno la coda i suoi avversari.
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