Ci vuole la partita più lunga dell’ultracentenaria storia del calcio per uccidere il sogno della doppietta romanista in Europa. Un’altalena di emozioni lunga quasi 150 minuti culminata nell’ennesima doccia gelata ai rigori, causa due rigori non perfetti che l’ottimo Bounou riesce in qualche modo a prendere. Si è visto di tutto, dalla traversa di Smalling che avrebbe potuto segnare l’apoteosi giallorossa al teatro dell’assurdo a bordocampo, dove si sono viste cose più adatte all’avanspettacolo che al mondo del pallone. La Roma esce sconfitta ma non annichilita dal confronto con una squadra che, nonostante abbia cambiato tre tecnici in una stagione, riesce a confermarsi imbattibile in Europa League. Eppure, la sensazione è che sia mancato qualcosa e che con un paio di aggiustamenti Mourinho avrebbe potuto difendere la sua imbattibilità in finale. Proviamo a capire cosa è mancato ai capitolini per doppiare il trionfo a Tirana dell’anno scorso.
Troppo nervosismo
Pensare che Mourinho riesca a giocare una partita importante senza alzare la tensione nervosa oltre i limiti di guardia è forse impossibile. Lo fa dai tempi del Porto, difficile che possa cambiare a questo punto. Mercoledì sera a Budapest, però, lo spettacolo offerto dentro e fuori dal campo è stato quasi surreale. Le infinite schermaglie con la panchina andalusa, l’assalto al quarto uomo, le sceneggiate continue, le accuse del post-partita contro l’arbitro Taylor, certo non in serata di grazia. Le conseguenze in campo si sono viste, purtroppo. Arrivati alla partita più importante in condizioni non perfette, molti giocatori della Roma sono sembrati contratti, troppo ansiosi, incapaci di esprimere quel gioco arioso di cui sono capaci. Se i più esperti hanno tenuto botta, da Smalling a Matic, altri non sono riusciti a reggere alla pressione. Possibile trovare una via di mezzo? Riuscire ad arrivare con la tensione agonistica giusta senza eccedere nel parossismo?
Una panchina inadeguata
Inutile nascondersi dietro ad un dito: la differenza tra l’ottimo primo tempo e i venti minuti della ripresa che hanno visto evaporare la Roma dal campo è venuta quando Mendilibar ha cambiato la coppia di trequartisti per dare spazio agli ex “italiani” Lamela e Suso. Quando i giocatori chiave della Roma hanno finito la benzina, i loro rimpiazzi non sono stati all’altezza. La differenza, in campo, si è vista. Sulla carta Wijnaldum e Belotti avrebbero dovuto almeno contribuire a tenere alta la Roma, evitare che fosse schiacciata da un Siviglia capace di giocare finalmente il suo calcio. L’olandese è sembrato l’ombra di sé stesso mentre il Gallo, sebbene si sia dato un gran daffare è sembrato troppo isolato. Stesso si può dire di Zalewski, forse entrato troppo tardi e con un approccio troppo difensivo. Il segnale dell’inadeguatezza della panchina si è visto nei supplementari, quando Mourinho è costretto a mettere Llorente al posto di uno Spinazzola esausto. Se da un lato i titolari hanno retto bene il confronto con una squadra superiore in termini di tecnica ed esperienza, le seconde linee hanno fallito su tutta la linea.
Un approccio sbagliato
Visto che i giocatori chiave non avevano abbastanza energie per reggere una partita intera, la scommessa di Mourinho è stata chiara fin dal primo minuto: giocare forte per i primi 45 minuti, andare in vantaggio e, a questo punto, parcheggiare l’autobus e portare a casa l’ennesima vittoria di corto muso. La Roma ha seguito questo piano con precisione e puntualità, con poche sbavature, pressando bene, aggredendo sulle seconde palle, fondamentali per mettere Dybala e Spinazzola davanti a Bounou. Quando Rakitic ha però fatto tremare il palo, la squadra sicura dei propri mezzi, quasi spavalda del primo tempo è uscita di scena. Prima dello sfortunato autogol di Mancini si è rivista la Roma timida, un attimo rinunciataria, incapace di imbastire ripartenze fulminee e costringere il Siviglia ad arretrare il baricentro.
Quando va in sofferenza, la Roma di Mourinho si contrae, affidandosi ad una retroguardia esperta per reggere alle sfuriate degli avversari. Una tattica forse inconscia ma per questo difficile da superare. Se reggere ai ritmi forsennati del primo tempo sarebbe stato impossibile, chiudersi in difesa senza saper ripartire non è stata la soluzione giusta. Certo che la Roma avrebbe forse potuto gestire meglio le energie, evitando di sfiancare i propri giocatori chiave ma con il senno di poi è fin troppo facile parlare. Quando Matic e Cristante non ne hanno più, il gioco diventa prevedibile, banale. Il colpo di fortuna, stavolta, non è arrivato ma con questo approccio sarebbe stato difficile vincere e convincere.
Un attacco evanescente
Te la puoi prendere con l’arbitro, con il destino cinico e baro, con la sfortuna, con la maledizione dei rigori ma difficile non ammettere che la Roma le occasioni buone per chiudere la partita ben prima del maxi-supplementare le aveva avute. Lasciando perdere la traversa colpita da Smalling, che perseguiterà i sogni dei tifosi romanisti peggio del gol di Turone, i giallorossi di occasioni buone ne hanno create più dei rivali, che non hanno mai impegnato sul serio Rui Patricio. E qui sarebbe bastato poco per fare la differenza e tornare nella capitale con la Coppa UEFA. Spinazzola, tutto solo davanti a Bounou, lo grazia con un tiro dimenticabile mentre il portiere marocchino è stato straordinario sulla spaccata di Belotti, deviata con la punta delle dita. Sarebbe bastato un attaccante esperto e cinico sotto porta a fare la differenza? Possibile, non certo.
Sicuro, invece, che mancano alternative serie, capaci di dare la sferzata giusta alle partite e risolvere le situazioni più complicate. In questo Mourinho ha ragione: i giocatori chiave, se non li hai, non te li puoi inventare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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