Certo che non ci si raccapezza mai di come il tempo si infili tra le persone e le cose, diventando distanza anziché collante. Di come fosse possibile sorridere fino a star male, fino a ieri, per poi ritrovarsi sul ciglio dell'esonero tra giacche strappate, cravatte divelte e rigurgiti di ferocità multipla. Quanto è lontano il Max Allegri di dieci anni fa rispetto a quello che ha appena vinto, cospargendo il trionfo con un pattern di sdegno e polemiche, la quindicesima coppa Italia bianconera. E che ha segnato anche l'esonero del mister.
Estate del 2014. Era, quella, la sua prima Juve. Conte se ne andava dopo un regno glorioso, lamentandosi platealmente circa le ambizioni della società: "Non mi siedo al ristorante da 100 euro con 10 euro in tasca". E invece Massimiliano da Livorno, uno abituato alla canicola del gabbione e alla sabbia che si infila infida tra le infradito, aveva fatto spallucce. Lui si era accomodato, accolto però da uno scetticismo debordante. Era il tecnico del Milan. Era accompagnato da un malinconico motivetto: "C'è poco da stare Allegri".
Max, però, aveva dimostrato sul campo che si trattava di risibili farneticazioni, tessendo un arazzo con quello che aveva in casa. Attacco rivoluzionato, ma Alvaro Morata sarebbe diventato un talismano, specie in Champions, e c'era accanto un tank come Carlitos Tevez. Modulo stravolto in corsa, per scrostarsi da quel monolitico 3-5-2 ed iniziare finalmente a restituire alla Juve una dimensione europea, con i quattro difensori - come spingevano Evra e Lichtsteiner - e un centrocampo a rombo memorabile, probabilmente il più forte degli ultimi trent'anni bianconeri, animato dal maestro Pirlo, Pogba, Marchisio e Vidal dietro le punte.
Max si era frugato in tasca e aveva indovinato un piatto regale. "C'era la gente - ammansiva la stampa incredula - che era bianca come le strisce di questo pallone qui, perché aveva paura a gioà col Malmoe", diceva in conferenza, per marcare nitidamente il divario tra il prima e il dopo, respingendo al mittente le previsioni raccogliticce di chi lo credeva già disarcionato a Natale. E invece eccolo lì, a dissipare ogni dubbio, muovendosi da alchimista eccelso, incassando l'amore dei tifosi e il rispetto della squadra. "Era incredibile - confessò una volta Evra, uno che era stato pilastro nel gigantesco Man Utd del gigantesco Sir Alex Ferguson - perché Max ci diceva prima della partita dove si sarebbero creati gli spazi in cui inserirsi e in partita succedeva".
Così il primo Allegri bianconero, ben lontano dalle torme degli attuali linciatori, piazzava i gomiti in cima alla classifica e vinceva pure la coppa Italia, con la forza delle idee - quelle che nelle ultime stagioni sono parse alquanto appannate - di alcuni giocatori fenomenali e di un carisma che si traduceva in feeling con tutto un popolo. Solo il fatidico e ingiocabile Barcellona di Messi avrebbe spezzato l'incantesimo e il sogno di un surreale triplete, rifilando in finale un 3-1 inappellabile a Buffon e compagni.
Ma Max era arrivato al dessert
con un deca - come cantava quell'altro Max, anche se quelle erano lire - spiegazzato in tasca. E tutti lo amavano, per questo, in modo scomposto. Come cambia il mondo, in dieci anni soltanto.
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