Scudetto? No, grazie: vado al Carnevale. Quando Edmundo distrusse i sogni viola

Febbraio 1999: la Fiorentina gioca in casa contro il Milan e Bastistuta si fa male. L'attaccante brasiliano, invece di restare nel momento del bisogno, fa le valigie e vola a fare festa

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A vederla da fuori, sembra quasi una storia da teatro dell'assurdo. Invece, a Firenze, si stanno rendendo conto che è tutto maledettamente reale. La loro squadra, guidata da Giovanni Trapattoni, accarezza il sogno impenetrabile di lottare per lo scudetto. Da queste parti non capita spesso e, quando succede, è un obiettivo che merita di essere difeso aggrappandosi ad un mucchio di fattori. C'entrano, in ordine sparso, il coraggio, la tecnica, una volontà feroce, la compattezza del gruppo. Fuori è un gelido giorno del febbraio 1999, il sette, ma dentro chi tifa viola ribolle.

Inizialmente d'entusiasmo, perché prevalendo sul Milan, al Franchi, verrebbe apposto un altro mattoncino verso l'edificazione del traguardo. Quando però il cannoniere per eccellenza, Gabriel Omar Batistuta, finisce per farsi male, dagli spalti si levano mugugni di costernazione. Nel frattempo la gara termina in pareggio. Zero a zero. E ora? Si domandano smarriti i supporters del giglio. Che ne sarà di noi, senza il nostro punto cardinale? Naturalmente non dicono proprio così, anche perché siamo in Toscana, dove la gradazione dell'imprecazione assume sembianze impensabili per l'uomo della strada.

Fermi tutti, però. Nulla è davvero perduto. C'è sempre O Animal. C'è sempre Edmundo. Sospiro di sollievo. Ecco fatto. Ecco chi potrà trarre d'impaccio una squadra che, deprivata del suo elemento più luccicante, ha bisogno di riconoscersi nella voce di un altro leader. Anche perché l'estroso carioca possiede il carisma preteso dall'impresa. Nei suoi scarpini è riposta la soluzione alle paturnie viola. Non c'è da preoccuparsi eccessivamente, dunque. Batigol tornerà e intanto ci pensa Edmundo. Tutto risolto, quindi? Nemmeno per idea.

Perché nel contratto dell'attaccante spunta una clausola. Ha accettato di venire a Firenze a condizione che il patron Vittorio Cecchi Gori lo liberi per una settimana di ferie. Quando? In concomitanza con il carnevale di Rio de Janeiro, ovviamente. L'evento seduce i brasiliani grattando corde profondissime. A febbraio, il mese della grande festa, è tutto un frinire interiore. Via al lassismo e alla trasandatezza, dunque. Lasciamoci assalire dalla pigrizia e affondiamo nei ritmi tribali delle danze e tra i costumi sgargianti. Sì, vabbè, impossibile che se ne vada davvero, dicono sempre i tifosi. Figurati se questo esercita la clausola e ci lascia qua, senza né lui né Bati, mentre stiamo nel bel mezzo di una lotta per un titolo epocale.

Solo che Edmundo fa davvero spallucce. Mentre il suo compagno di reparto argentino si sottopone agli esami strumentali, lui si imbarca sul primo volo utile. Questione di priorità. Pazienza per lo scudetto, avanzino danze, bevute e sorrisi. La Fiorentina? Eddai, in qualche modo la sfangheranno. Adesso lasciatemi ballare. La gente è raggelata. Come ha potuto sferrare un colpo così basso alla città? Nel frattempo la squadra, decapitata del suo attacco, va a Udine e perde. Da lì inizia una diluizione progressiva. Le speranze scudetto si annacquano. Edmundo farà rientro dopo lo scellerato poltrire, ma sarà già troppo tardi.

Edmundo con i suoi compagni in viola
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Il titolo sfila via e la viola giunge terza. L'attrito con Firenze diventa insanabile. Lui che poteva esserne sovrano, adesso è bandito. Farà ritorno in patria, al Vasco da Gama, da dove era venuto. Un disertore imperdonabile.

Di recente è rientrato in città, accolto dalla sindaca Sara Funaro. Dopo 25 anni quel livore sembra ripianato. Lui ha dichiarato che, tornasse indietro, non partirebbe mai. La storia però se ne infischia, dei condizionali.

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