Inchinarsi dopo la sconfitta: la lezione del ct giapponese

Dopo aver perso la partita ai rigori Hajime Moriyasu ha salutato così gli avversari croati: questione di cultura

Il ct giapponese si inchina alla Croazia
Il ct giapponese si inchina alla Croazia

Saikerei è la parola che, nella cultura nipponica, identifica la massima forma di rispetto per l’altro. Otto lettere per cicatrizzare un sentimento antico, accompagnate da un gesto che sostituisce il contatto fisico senza nulla togliere allo sfregamento. Anzi, aggiungendo sacralità. L’inchino è il più profondo tra quelli contemplati nel paese del Sol Levante: non il piccolo cenno del capo che si riserva a parenti e amici (Mokurei), nemmeno il saluto quotidiano ai colleghi (Eshaku), né il più ossequioso Keirei, dedicato alle persone di rango più alto.

Nel Saikerei la curvatura della schiena raggiunge la flessione più ampia. È la manifestazione del riguardo massimo, quello che in Giappone potresti usare alla corte dell’imperatore, oppure quando devi porgere le scuse più sentite. Alcuni sostengono che questa congerie di lente cadenze verso il basso sia il precipitato ultimo dell’influenza shintoista. Stando ad altre correnti, si tratterebbe di un vademecum stilato dalla famiglia Ogasawara – imperante nel periodo Kamakura (1185 – 1333) per rammentare a tutti come comportarsi durante le cerimonie civili, religiose e marziali.

Comunque stiano le cose, il saluto con l'inchino è talmente radicato nell’anima nipponica da risultare a tratti tracimante. In Giappone lo praticano tutti, in qualsiasi circostanza. Succede per strada, nei negozi, dentro gli uffici, negli edifici religiosi. Il saluto non vive compresso dentro spazi angusti. Puoi attingervi sempre ed esportarlo altrove. Anche su di un campo da calcio. Così, ieri, quando la sua squadra è uscita dignitosamente dal mondiale - ai calci di rigore contro la Croazia – il ct Hajime Moriyasu ha sfoderato un gesto di certo per lui normalissimo, ma capace di rimbalzare per le emittenti e i social di mezzo globo un istante dopo.

Moriyasu ha consolato i rigoristi che hanno sparato a salve per poi avvicinarsi alla squadra avversaria, producendosi in un profondo inchino. Il Saikerei, appunto. Un baluginio inedito nella melma calcistica, sovente contrassegnata da spirito rissaiolo, polemiche futili e rispetto del prossimo calpestato. Come una pecora bianca infilata in un belante gregge a pelo scuro. Chiaro che poi si girano tutti.

Quanto abbiamo da imparare”, commentavano giustamente i telecronisti appollaiati sulle tribune. Perché si può anche perdere e rendere merito agli avversari, senza che risulti una follia. Atteggiamento certo più diffuso nel rugby che tra gli adepti del pallone rotondo. Come iniettare anticorpi buoni in un organismo ad alta carica virale. Il Giappone non è certo nuovo a contropiedi del genere. Dopo il glorioso match contro la Germania la squadra aveva tirato a lucido lo spogliatoio, messo a soqquadro dalla legittima e debordante festa.

Quanto è strano quell’inchino per

noi italiani, abituati a stringere, baciare, ingaggiare fisicamente financo i perfetti sconosciuti. Certo continueremo a toccarci, ma non sarebbe male incassare la lezione: che a volte, le distanze, le accorci mantenendole.

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