Lo scudetto del Napoli viene da lontano. Ed è anche il premio al lavoro di una società che, sotto la guida del presidente Aurelio De Laurentiis, ha riportato nell'Olimpo del calcio italiano una piazza affamata di risultati. Se i due scudetti del 1987 e del 1990 del Napoli che ruotava attorno a Diego Armando Maradona erano stati i titoli del riscatto nazionalpopolare e populista di una squadra trascinata dal Diez al livello delle corazzate del Nord, quello del Napoli di Luciano Spalletti è il punto di arrivo di una corsa durata diciannove anni.
Plusvalenze e risultati
Era il 6 ottobre 2004 quando il Napoli targato De Laurentiis esordiva in Serie C1 dopo il fallimento battendo 1-0 la Vis Pesaro all'ultimo respiro al San Paolo, con gol di Massimiliano Varricchio. Da allora in avanti, soprattutto dopo il ritorno in Serie A concretizzatosi nel 2007, De Laurentiis e la sua società hanno portato gli azzurri nell'élite con programmazione e investimenti. Ha speso molto, il club guidato dal produttore cinematografico romano: 800 milioni di euro solo nell'ultimo decennio nelle sessioni di mercato e un miliardo di euro circa per gli stipendi nello stesso periodo. Ma spesso gli investimenti sono stati ripagati ampiamente da plusvalenze e risultati sul campo.
Nei primi anni dopo il ritorno in Serie A il Napoli fu guidato da uomini-simbolo poi divenuti la chiave di volta per eccellenti plusvalenze. Iniziò Ezequiel Lavezzi, il fantasista argentino acquistato per 5 milioni di euro dal San Lorenzo nel 2007 e venduto al Paris Saint Germain per 30 milioni cinque anni dopo. Alla stessa squadra parigina si trasferì l'anno successivo il bomber uruguaiano Edinson Cavani. De Laurentiis aveva investito nel 2010 17 milioni di euro per strapparlo al Palermo, ma lo cedette per ben 66 milioni di euro al club degli emiri qatarioti dopo che il Matador aveva segnato 104 gol in 138 partite contribuendo alla vittoria della Coppa Italia 2011-2012.
A sostituire Cavani fu chiamato Gonzalo Higuain, acquistato dal Real Madrid per 40 milioni di euro, in quella che fu la più onerosa trattativa della storia del Napoli. Investimento lautamente ricompensato dalla vendita del Pipita argentino alla Juventus per 90 milioni di euro tre anni dopo
Questi erano i racconti di un Napoli capace di muoversi tra le big ma presto o tardi destinato a separarsi dai suoi migliori talenti. Per la stabilizzazione l'uomo del destino è stato, in quest'ottica, Cristiano Giuntoli. Dopo la sua chiamata alla carica di direttore sportivo, il manager ed ex calciatore classe 1972 artefice del miracolo Carpi, guidato come dirigente dalla D alla Serie A nel decennio precedente, ha impostato in tandem con De Laurentiis una strategia di programmazione societaria molto ambiziosa.
Il modello Napoli che ha portato allo scudetto
Il Napoli non ha alle spalle una struttura tale da poter gestire vivai ramificati come quelli che hanno in Europa società come l'Ajax e l'Atalanta. La struttura stessa del club e della sua tifoseria, che sovraespone gli enfant du pays sotto il profilo delle aspettative, ha fatto sì che pochi, a parte lo storico ex capitano Lorenzo Insigne, abbiano avuto modo di emergere dalla Primavera ai ranghi dei titolarissimi. La strategia di Giuntoli è stata invece pragmatica e a metà strada. Acquisti di giocatori da campionati minori e dalla classe medio-bassa delle massime leghe europee si sono saldati a investimenti mirati su dei big capaci però di garantire, in prospettiva, rendimenti sul campo notevoli e una crescita delle prestazioni capace di stabilizzare ad alti livelli il club.
I giocatori in questione, inoltre, sono stati chiamati anche sulla logica della fidelizzazione alla maglia, sfruttando la tendenza di De Laurentiis e Giuntoli a chiedere ai neo-firmatari del club l'impegno a garantire al club la gestione esclusiva dei propri diritti d'immagine. Una scelta spesso ritenuta controversa, ma che ha creato un'identificazione del Napoli come collettivo al di sopra dei singoli.
Al Napoli "rivoluzionario" dei tempi di Maradona si è gradualmente sostituito un Napoli "piccolo-borghese" costruito aggregando i figli calcistici delle periferie d'Europa. Alla società anti-elitaria e dedita alla guerriglia sportiva contro le grandi del Nord si è sostituita la macchina costruita da un presidente romano e da un manager fiorentino trapiantato sulla Via Emilia, portata al successo dal "toscanaccio" Spalletti, giunto al primo scudetto della carriera dopo essere partito dalla provincia come allenatore. Una macchina condotta al traguardo con pragmatismo che definiremmo senza problemi ambrosiano, con investimenti oculati e sfruttando l'attrattività cosmopolita di Napoli, di cui ha contribuito a valorizzare notevolmente l'immagine.
I colpi "provinciali" di Giuntoli e De Laurentiis
Il Napoli di Maradona era la splendida armata guidata da un condottiero, quello di De Laurentiis, Giuntoli e Spalletti una squadra di alpinisti che scala in cordata e non intende la conquista del primo Ottomila, lo Scudetto, come un punto d'arrivo, ma come una partenza. "Le grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono, altrimenti non sarebbero altro che un cumulo di sassi", amava dire chi di alpinismo se ne intendeva come Walter Bonatti. Ebbene, la grande montagna del Napoli, il terzo scudetto, è stata scalata aggiungendo valore agli investimenti fatti.
Qualche esempio? I padroni del centrocampo del Napoli, Andrè Zambo Anguissa e Stanislav Lobotka, sono stati prelevati dal Fuhlam inglese e dal Celta Vigo spagnolo rispettivamente per 16 e 20 milioni di euro. Ora ne valgono oltre il doppio. Piotr Zielinski, Mario Rui e il capitano Giovanni Di Lorenzo sono stati acquistati dall'Empoli, "principessa" delle provinciali, per complessivi 26 milioni di euro e sono diventati colonne del club campano. Il portiere Alex Meret è stato "pescato" dalla Spal e il roccioso centrale Kim Min-Jae è arrivato dal turco Fenerbaçe dopo la dolorosa cessione di Kalidou Koulibaly al Chelsea.
Koulibaly, Insigne e Dries Mertens, miglior marcatore della storia del Napoli che alla città partenopea ha dedicato pure il nome del figlio Ciro, sono l'esempio di una squadra che non ha paura di troncare storie consolidate e "romantiche" per un pubblico caloroso ma che sa guardare avanti. La freddezza con cui il pubblico napoletano contestò De Laurentiis e Giuntoli l'estate scorsa dopo il drastico rinnovamento è esemplificato dallo striscione riportato da Salvatore Esposito su Il Fatto Quotidiano. " “Kim, Merit, Marlboro, tre pacchetti dieci euro. Pezzente non parli più, paga i debiti e sparisci”, recitava lo striscione della curva del Diego Armando Maradona contro De Laurentiis, su cui si scagliarono le intemperanze del "Movimento A16", formazione di tifo organizzato che prende il nome dall'autostrada Napoli-Bari, città della cui squadra il produttore romano è proprietario e in cui si invitava gentilmente De Laurentiis a riparare.
Uno scudetto "nordico"
"Del resto questo è un tricolore all’opposto di quelli conquistati tre decenni fa nella golden age di Diego Armando Maradona. È un titolo che non solo ha sorpreso e spiazzato la città, ma che è frutto di una programmazione attenta ai bilanci, uno scudetto nordico o milanese se vogliamo continuare nelle provocazioni", fa notare Esposito. "All’epoca, poi, gli scudetti furono vissuti come un riscatto dell’intero Mezzogiorno vessato atavicamente dal Nord e Maradona venne trasfigurato in un sovrano capopopolo come Masaniello", mentre "in questo Napoli ci sono giocatori di 18 nazionalità e parlare in dialetto non è obbligatorio". Lo scudetto della programmazione, dunque. Testimoniato dalla capacità della società di acquistare puntandovi tenacemente gli uomini simbolo del tricolore: Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen.
Osimhen è il colpo più costoso della gestione Giuntoli e della storia del club campano: nel 2020 De Laurentiis ha scucito al Lille ben 75 milioni di euro per aggiudicarselo. Anche in questo caso, difficilmente parleremo di un colpo che però si tradurrà in una minusvalenza, visto il contributo decisivo dato dal capocannoniere nigeriano al tricolore. Il tutto, peraltro, in una sessione di calciomercato ove il Napoli registrò un surplus di 45 milioni di euro. L'estate scorsa, invece, "Kvara" è giunto per 11 milioni di euro dalla piccola Dinamo Batuni della nativa Georgia. Risultando il prospetto più interessante e talentuoso del campionato.
La scalata del Napoli è giunta dunque alla sua prima vetta. Da quella partita con la Vis Pesaro sono passati poco meno di diciannove, lunghi anni.
Nel frattempo, il club ha conquistato quattro secondi e quattro terzi posti in Serie A, tre Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Lo scudetto odierno non viene per caso e non è un accidente della storia, ma il trionfo di un progetto. E proprio per questo potrebbe essere solo l'inizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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