L’annata rivoluzionaria dei Mondiali femminili: tutto quello che il caso Rubiales non può oscurare

Irrimediabilmente oscurati dalle polemiche attorno alla Spagna, i Mondiali d’Australia sono stati spettacolari e sorprendenti, da record ed esempio della crescita globale del calcio femminile: un bilancio, per parlare ancora dello sport più bello del mondo

I premi individuali del TSG della Fifa ad Aitana Bonmatí e Mary Earps, rispettivamente Golden Ball e Golden Glove del torneo iridato
I premi individuali del TSG della Fifa ad Aitana Bonmatí e Mary Earps, rispettivamente Golden Ball e Golden Glove del torneo iridato

I Mondiali d’Australia e Nuova Zelanda si concludono a Sydney, la sera del 20 di agosto: una notte magica per il calcio femminile a livello internazionale, una notte indimenticabile per ventitre atlete spagnole, una notte di gioia adrenalinica per la Spagna intera, gettatasi nelle piazze e nelle strade a celebrare un traguardo storico – frutto di lungimiranza, lavoro costante ed investimenti, risorse materiali e figurate per la crescita d’uno sport che esiste e resiste solo se gli si dà il giusto respiro e cura per costruirsi radici forti.

È la forza della Spagna, quella delle radici, ma anche dei talenti giovanissimi tenuti stretti, valorizzati, spinti. Poi, le polemiche sul caso Rubiales – il numero uno della Rfef e l’abuso a Jenni Hermoso come punta dell’iceberg d’una realtà, quella della Federcalcio spagnola (e non solo), intrisa di machismo e violenza di genere – ed improvvisamente i Mondiali spariscono: tutto quel che è stato, nel mese sui campi d’Oceania, tutti i gol e le azioni mozzafiato, i festeggiamenti e le lacrime, dimenticati.

Certo, è stato, era ed è doveroso raccontare: perché quel che è accaduto in Spagna, finalmente uscito allo scoperto, finalmente denunciato ad alta voce, è figlio d’un lungo cammino e non nasce allo Stadium di Sydney né con l’avvio del percorso mondiale. Ma, spostandosi per un attimo da ciò che è stato, di cui si continuerà inevitabilmente e giustamente a parlare, è bene ricordarsi cosa sia stata questa nona, brillante edizione dei Mondiali Femminili: per restituire dignità a questo sport e professionalità a chi lo pratica, ogni giorno, sui campi di tutto il globo.

I Mondiali delle meraviglie: l’edizione rivoluzionaria

1.978.274 biglietti venduti per quest’edizione, la nona, dei Mondiali di calcio femminile: è quasi il doppio di quanti se ne staccarono per Francia 2019, l’edizione che, quantomeno in Italia, fu il volano del rilancio e dell’avvicinamento di moltissime a questo sport. Lo riporta il Guardian, assieme ad un altro dato fondamentale: il montepremi e le retribuzioni. Cifre senza precedenti per il calcio femminile, nella strategia Fifa esplicitata da Gianni Infantino dell’equiparazione premiale col maschile: del budget da 110 milioni di dollari, in quest’edizione, le calciatrici delle 32 squadre del nuovo format ne ottengono personalmente almeno 30 mila dollari. Almeno, perché l’importo raddoppia agli ottavi, triplica ai quarti, e arriva a circa 165 mila dollari per le semifinali: 10,5 milioni la cifra diretta per la vincitrice della Coppa del Mondo, di cui poco sopra il 60% diretto nelle tasche delle atlete. Un totale stanziato, stimava già Repubblica, di 152 milioni, “più del triplo (50 milioni) del mondiale precedente e dieci volte quanto stanziato nel 2015 in Canada”. Una cifra modesta, se si considera però il parallelo col calcio maschile: la sola Argentina vincitrice della competizione aveva incassato, al Mondiale in Qatar, 43 milioni circa, mentre il premio “base” per le rappresentative arrivate fin soltanto alla fase a gironi era di 10,5 milioni, “quasi cinque volte quello assegnato alle squadre femminili per la stessa evenienza”.

Il gigante addormentato si è finalmente svegliato. L’Australia è ora un Paese che ama il calcio”, dichiara la ministra australiana per lo Sport, Anika Shay Wells, e stando ai numeri da capogiro registrati dal paese ospitante parrebbe proprio così: ai quasi 2 milioni di spettatori negli stadi si devono aggiungere i quasi due miliardi in tutto il mondo. Una rivoluzione? La Fifa è pronta a scommettere che sia proprio così. Accanto alle corazzate che, forse meno che più, hanno soddisfatto le aspettative – tra tutte la Svezia, balzata per la prima volta in testa al ranking, con l’Italia che scivola invece al diciassettesimo posto – ed alla Spagna rivelazione e prima Coppa del Mondo alzata al cielo alla terza partecipazione, c’è un dato importante: la crescita del livello complessivo, l’emergere di nuovi volti e prospettive, un torneo più competitivo. Lo dimostra l’eliminazione delle quattro precedenti vincitrici, eliminate addirittura fra la fase a gironi ed i quarti: tra tutte, l’uscita di scena degli Usa, dopo quasi 16 anni di dominio (quasi) incontrastato, e poi come i colpi di scena sconvolgenti che hanno portato all’out il Brasile di Marta e la Germania di Popp, senza dimenticare il destino infausto dell’Italia, ad uno dei peggiori risultati immaginabili, ma anche l’impresa della Colombia nel passaggio ai quarti, ne sono una buona esemplificazione.

Lo dimostrano le otto debuttanti alla prima partecipazione assoluta: Haiti, Marocco, Panama, Filippine, Portogallo, Repubblica d’Irlanda, Vietnam e Zambia. Lo dimostra lo storico, ancora, risultato del continente africano, che vede per la prima volta superarsi portando ben tre rappresentative, quelle della Nigeria, del Sudafrica e proprio di una delle debuttanti assolute, il Marocco, alla fase eliminatoria; ma anche il percorso del Giappone di Futoshi Ikeda in grado d’ipnotizzare, per pragmatismo e qualità di gioco, mezzo mondo.

È anche, e soprattutto, il Mondiale delle giovanissime: agli addii commoventi di icone come la brasiliana Marta e la statunitense Megan Rapinoe, s’affianca il sorriso frizzante e la qualità indiscutibile di Linda Caicedo, perla delle Cafeteras, ma anche l’inglese Lauren James (quantomeno fino alla caduta di stile contro la Nigeria, in fase eliminatoria) e indubbiamente l’essenziale Salma Paralluelo, condottiera della Roja e nuova reina di Spagna a soli diciannove anni, fino al debutto più giovane di sempre, quello della sudcoreana Casey Phair (a 16 anni e 26 giorni) in una Coppa del Mondo al femminile.

Un’edizione di tanti (e gran) gol – da Caicedo, che contro la Germania si porta a casa addirittura il titolo di “Goal of the Tournament” al centro al volo di Sophia Braun, all’irlandese Kathy McCabe con una traiettoria inspiegabile direttamente da corner – e, ancora, quanti record infranti: dei 164 realizzati in totale (2.61 per match), il gol più veloce di sempre nel torneo (ma pure in Premier League) è quello su rigore dell’inglese Chloe Kelly che, con la peculiare rincorsa, sfonda i sogni della Nigeria con un missile a ben 110,79 km/h. È proprio la sua coach, Sarina Wiegman, a conquistare un altro record: l’allenatrice de L’Aia è la prima a portare due team alla finalissima, le Oranje nel 2019 e le Leonesse nel 2023.

I premi individuali del TSG, il Technical Study Group della Fifa, allo stesso modo, raccontano in sintesi le novità e le sorprese di quest’edizione: perché l’adidas Golden Ball se la porta a casa la spagnola Aitana Bonmatí, miglior calciatrice dell’anno Uefa e fenomeno del Barça, quotatissima candidata al Pallone d’Oro; alle sue spalle, per la Silver e Bronze Ball Jennifer Hermoso, veterana della Roja del miracolo, e Amanda Ilestedt, difensore svedese dagli stacchi letali da calcio d’angolo.

La Spagna delle meraviglie, non paga dei risultati pazzeschi raggiunti, si prende anche il Fifa Young Player Award, dedicato alle nate dopo il 2002, con Salma Paralluelo. Golden Boot per numero di gol e Fair Play al Giappone, eliminato ai quarti ma con un percorso da togliersi il cappello: è Hinata Miyazawa, con le 5 realizzazioni personali, la capocannoniera – seguita da Kadidiatou Diani (Francia) e Alexandra Popp (Germania) – e la Nadeshiko la più corretta e brillante della competizione. Il Golden Glove della Fifa va, a fine torneo, a Mary Earps: l’estremo difensore dell’Inghilterra ha contribuito in maniera straordinaria a condurre le Leonesse all’argento mondiale.

Pagelle in disordine

Top

Spagna 10 Per la Roja, farcela nel clima pre-partenza mondiale era impensabile, scontrarsi con le assenze illustri complesso, vincere contro il proprio allenatore un’assurdità: eppure, all’appuntamento con la storia non c’è stato margine d’errore. Uno di quei trionfi da underdog che lasciano a bocca aperta. Vincitrici di campo, trascinatrici fuori. Chapeau!

Inghilterra 8.5 Sarina Wiegman è un’istituzione e, alla guida delle Leonesse non al top di condizione, fisica e mentale, col peso di assenze importanti, la coach olandese è comunque riuscita a ribadire la propria qualità eccezionale: Inghilterra cinica, pragmatica, meno bella ma più efficace del previsto. A Sydney, è mancata la fame che era invece propria della Roja: va bene così.

Svezia 9 Sarebbe potuta essere l’annata dorata della corazzata di Peter Gerhardsson, l’eterna damigella della Coppa del Mondo – quasi ridicolo sottolineare che, forse, un calo complessivo nella Svezia esiste, un momento non ottimale per un ricambio che stenta ad arrivare: lo sarebbe, perché le gialloblù arrivano terze dopo un girone perfetto, un mezzo miracolo contro le campionesse di sempre a targa Usa e un braccio di ferro estenuante col Giappone, concludendo alla perfezione contro le Matildas padrone di casa.

Giappone 8 La squadra più bella vista in quest’edizione Mondiale: la Nadeshiko parrebbe tornata quella del 2011, l’anno d’oro del calcio nipponico con la Coppa del Mondo alzata al cielo. Il team di Futoshi Ikeda esce troppo presto, ma regala al globo un’idea di calcio che lascia senza fiato: a compensare il dato, ripetuto allo sfinimento, della fisicità, tanta tecnica e altrettanta intelligenza tattica. Hinata Miyazawa, premiata capocannoniere dal Tsg Fifa, è il nome che resta ma questo gruppo verrà ricordato a lungo.

Flop

Francia 5 Le Bleues, nonostante l’approdo ai quarti, non hanno proprio mordente e forse, con l’incipit della competizione, avevano settato l’asticella più in alto di quel che effettivamente quest’anno si poteva chiedere alla formazione di Hervé Renard, non esente da conflitti e defezioni, nonostante il rientro di Eugénie Le Sommer abbia dato un contributo sostanziale. Le francesi regalano uno dei match qualitativamente più interessanti, a Brisbane contro il Brasile, poi volano in scioltezza col Marocco ma giocano in blackout con l’Australia e, nella sequenza di rigori più estenuante di sempre, fanno proprio harakiri.

Germania 3 L’uscita di scena forse meno prevedibile e certo più sconcertante: le tedesche di Martina Voss-Tecklenburg sopravvivono solo grazie a Popp, che si porta a casa un bronzino poco di consolazione nella corsa individuale alla classifica marcatrici. Per il resto, l’inizio sfavillante col Marocco è solo uno specchietto per le allodole: la Germania potrebbe esser quel dominio totalizzante, e finisce con l’ingannarsi da sola – perde con la Colombia, ma il merito va alle meraviglie sudamericane, e si fa inspiegabilmente beffare dalla Corea del Sud. L’out al girone – uno forse dei più semplici sulla carta – è quasi incomprensibile. Malissimo.

Luis Rubiales (e la Rfef) -1 Si può essere così machisti da non trattenersi nemmeno in diretta, in mondovisione? No, eppure Rubiales, con tutta la vicenda e le dichiarazioni attorno al caso che porta il suo nome, a braccetto con la Federcalcio spagnola, pare non averne abbastanza e voler ribadire ad ogni costo quanto le sue dimissioni siano, come minimo, dovute. Se anche fosse possibile scindere quel che ha procurato in relazione al Mondiale dall’atto machista in sé, non ne uscirebbe un voto superiore allo zero. #SeAcabó

Storia? Fatta.

È così che sarebbe bello ricordare questa nona, per certi versi assurda, inspiegabile ed inattesa edizione della Coppa del Mondo al femminile: parlando del campo, di tattica e prestazioni, gol imprendibili e giocare geniali; tenendo ben presente, ancora una volta, cos’è che fa di questo sport il più bello del mondo. Per tutti e tutte.

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