La lezione del Qatar: nel calcio i soldi non bastano

La nazionale di casa, quella fatta in laboratorio con giocatori da mezzo mondo formati nella faraonica Aspire Academy, ha fatto una pessima figura. Qual è la lezione? Che nel calcio per vincere non bastano una montagna di soldi. Chiedere al PSG per conferma

La lezione del Qatar: nel calcio i soldi non bastano

Con la fase a gironi che si avvicina alla fine, tempo di fare qualche bilancio su questo strano mondiale invernale che ha sconvolto il mondo del pallone. Lasciando da parte per un momento le troppe polemiche che hanno avvelenato la festa del calcio, possiamo dire con una certa sicurezza almeno una cosa: la nazionale dei padroni di casa, quella fatta in laboratorio seguendo metodi super scientifici, ha fatto una ben magra figura. Tre partite, zero punti, un solo gol fatto, un bottino decisamente insoddisfacente visto gli enormi sforzi profusi dall’emirato del Golfo Persico per fare bella figura nel costosissimo Mondiale di casa. Eppure in altri sport la ricetta messa in campo dal Qatar, fatta di scouting ossessivo in paesi spesso marginali, tecnici d’eccellenza pagati a peso d’oro e un centro di allenamento da mille e una notte, ha prodotto risultati invidiabili. Insomma, perché uno come Mutaz Essa Barshim colleziona titoli mondiali e medaglie olimpiche mentre il fratello Meshaal, secondo portiere della nazionale qatariota, non può che sognare allori del genere? Si fa in fretta a dire che “il calcio è diverso”, ma forse la vicenda può insegnare qualcosa anche alle nostre latitudini.

Il fallimento dell'Aspire Academy

Alla vigilia del Mondiale si è scritto molto su questo centro d’eccellenza, stabilito per decreto dall’emiro Al-Thani nel 2004, costato quasi un miliardo e mezzo di dollari e chiave della strategia del Qatar per produrre una nazionale di livello mondiale. All’interno del mirabolante Aspire Dome le tecniche più sofisticate ed i migliori esperti avrebbero prodotto in laboratorio una rosa di giocatori capaci di sorprendere molte delle grandi nel mondiale invernale. Questa impresa mastodontica non ha badato a spese, comprandosi due squadre europee, il Cultural Leonesa in Spagna e l’Eupen in Belgio, collabora con club di tradizione come il Leeds United ed ha ingaggiato tecnici di assoluto livello. La missione viene spiegata brevemente da uno di questi tecnici, l’italiano Valter Di Salvo: “Aspire è un’accademia della Nazionale, un vero college per i migliori giovani qatarioti, che studiano e si allenano, giocando nei club nel fine settimana. Così è cresciuta una generazione di giocatori, diventando una squadra competitiva”. All’inizio la formula sembrava aver funzionato, portando al Qatar i primi due titoli della sua breve e piuttosto anonima storia calcistica, il campionato asiatico under 19 nel 2014 e, cinque anni dopo, la prima Coppa d’Asia. Eppure, col tempo, qualcosa sembra essere andato storto. Se nell’atletica alla stella dell’alto Barshim si sono affiancati altri atleti di livello, dal giocatore di squash Al-Tamimi al martellista El Seify, primo nella storia a vincere due mondiali giovanili di fila, la fabbrica dei talenti del calcio sembra aver fallito su tutta la linea.

Vista aerea Aspire Academy Wikiwand
Vista aerea della Aspire Academy di Doha - Fonte: Wikiwand

Il flop dei naturalizzati

Come mai quel “vestito cucito e ricamato su misura per il Mondiale”, per il quale si era lavorato ed investito così tanto nell’avvicinamento si è rivelato così poco competitivo? Che Al-Annabi, la nazionale qatariota, non si sia ricoperta di gloria è evidente, ma forse questo flop può insegnarci qualcosa. A far inorridire la maggioranza degli amanti del calcio di una volta, il fatto che di qatarioti veri e propri in rosa ce ne fossero solo sette: gli altri sono tutti o naturalizzati o arrivati a Doha molto giovani, talvolta da bambini. L’attaccante Almoez Ali, nonostante il nome arabo, è arrivato dal Sudan a sette anni, per entrare cinque anni dopo nella famosa Academy. Dopo anni di formazione intensiva è stato girato prima all’Eupen poi alla Leonesa, per poi tornare a giocare nel campionato qatariota. Visto che gli abitanti dell’emirato sono pochissimi e la cultura calcistica quasi inesistente, grazie allo scouting in Africa, Asia e Sud America, si è importato un buon numero di giovanissimi talenti da naturalizzare in fretta e furia per farli figurare come “homegrown”, formati in casa e quindi schierabili nella nazionale. Eppure la rosa a disposizione di Felix Sanchez Bas, ex allenatore delle giovanili del Barcellona, nonostante abbia avuto tre mesi per prepararsi al mondiale, si è dimostrata davvero poca cosa.

Il calcio (forse) è davvero diverso

Il parallelo che viene naturale è quello con l’altro, ancora più colossale, investimento della famiglia reale del Qatar nel mondo del calcio, il Paris Saint-Germain. Anche qui, negli anni passati dall’acquisto dei Rouge-et-Bleu, è arrivata una montagna di soldi; parte investiti nella creazione di infrastrutture, di un’ottima academy ma che hanno finanziato campagne acquisti che hanno cambiato per sempre gli equilibri del calcio europeo. Eppure, come nel caso dell’undici sceso in campo al Mondiale, i successi non sono arrivati. Le rose faraoniche affidate a tecnici di grido, da Ancelotti ad Emery, Tuchel e Pochettino, hanno tutte fallito a livello europeo, collezionando solo una serie di dolorose eliminazioni. Sulla carta queste formazioni sembravano prese dai sogni proibiti di un malato di Football Manager, gruppi incredibilmente talentuosi, apparentemente imbattibili. Eppure, alla prova dei fatti, queste collezioni di figurine si squagliavano sul più bello, senza mai riuscire ad alzare al cielo il sogno proibito della famiglia Al-Thani, la coppa dalle grandi orecchie. Cosa c’entrano con la nazionale qatariota, che avrebbe certo avuto bisogno di qualche giocatore di livello in più? La logica è la stessa: concentrarsi solo su caratteristiche oggettive, quantificabili, ignorando l’aspetto psicologico, quella cosa fondamentale e difficilmente descrivibile chiamata amalgama.

Se il Psg ha comprato giocatori guardando solo al cartellino del prezzo, senza pensare a come avrebbero giocato insieme o se sarebbero andati d’accordo nello spogliatoio, il Qatar ha raccolto dove capitava giovani di talento, atleticamente capaci, ma del tutto privi di quell’orgoglio e di quella passione che si prova nel vestire la maglia del proprio paese. Chiamatemi un inguaribile romantico ma credo ancora che cose come queste facciano tutta la differenza del mondo. Ecco come il Milan di Pioli, oggettivamente meno forte di altre compagini, è riuscito a conquistare l’ultimo scudetto. Il calcio è bello anche perché non tutto è scritto e certe caratteristiche imponderabili lo rendono imprevedibile. Non sempre chi ha più soldi, talento ed organizzazione vince.

Servono, ovviamente, ma ti portano ad un passo dal trionfo. Per l’ultimo balzo, quello più difficile, serve altro, serve il cuore. E quello non lo compri al mercato, nemmeno con una montagna di petrodollari.

Messi e Neymar
Messi e Neymar compagni di squadra al Psg

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