I punti chiave
Con la primavera, in Serie A si inizia a fare sul serio. Mancano poche partite alla fine della stagione, al momento dei verdetti inappellabili ed ogni partita ha il sapore di una finale. Cosa si è visto nel fine settimana della 31a giornata del massimo campionato italiano? Parecchie cose interessanti. In attesa della risposta della capolista nel posticipo di lunedì sera, Milan e Juventus sono tornate a correre, la Roma di De Rossi vince un derby complicato, il Napoli torna a fare la voce grossa mentre Bologna ed Atalanta incappano in due passi falsi tanto pesanti quanto imprevisti. Vi raccontiamo tutto nel nostro solito pagellone del lunedì.
È questo il vero Napoli? (7,5)
Si dice che, durante l’intervallo di Monza-Napoli, gli spogliatoi ospiti dell’U-Power Stadium abbiano visto un redde rationem per i campioni d’Italia. Parole grosse sono volate a volumi piuttosto importanti, peraltro più che giustificati dalla prova messa dall’undici di Calzona. Il Napoli aveva tenuto molto il possesso, conquistato angoli su angoli ma aveva creato ben poche palle gol, sprecandole malamente. Non so cosa si sia inventato il tecnico partenopeo ma direi che ha funzionato alla grande. I quattro gol in 14 minuti con i quali il Napoli ha schiantato un Monza niente affatto scarso hanno fatto quasi commuovere i tanti tifosi saliti dalla Campania. Riuscire a dare la svolta e ritrovarsi in uno dei pomeriggi più complicati della stagione non è impresa da tutti. La tentazione, ora, sarebbe di farsi prendere dall’entusiasmo, seguendo l’indicazione di Aurelio De Laurentiis, che ha parlato di “classifica bugiarda”. La sensazione, però, è di aver visto quello che sarebbe potuto essere il Napoli senza le infinite polemiche ed gli insensati cambi di panchina.
Nonostante il Monza abbia messo in porta entrambi i tiri nello specchio, la difesa è riuscita a non ripetere l’ennesima prova disastrosa, anche se la stupidata di Juan Jesus su Djuric è di quelle da matita blu. Basta dimenticarsi il primo tempo ed il Napoli dalla cintura in su è stato più che convincente: viene da domandarsi perché ci siano voluti quasi 50 minuti prima che Anguissa, Lobotka e Zielinski si ricordassero come si gioca a calcio. La prova di Kvaratskhelia non fa altro che dimostrare come il Napoli abbia bisogno delle sue sgommate per creare spazi ai compagni mentre Osimhen ha fatto passare 90 minuti da incubo alla difesa monzese, sfiorando l’apoteosi con una rovesciata da antologia. La notizia migliore? Il fatto che la differenza l’abbiano fatta due giocatori della panchina, quei Politano e Raspadori che sono stati determinanti nello strappo che ha chiuso i conti con un Monza mai domo. Ora, però, bisogna ripetersi. Vedendo il calendario, bisognerà fare punti prima degli incroci con Roma, Bologna e Fiorentina. A questo punto della stagione è vietato sbagliare.
Con questo Pulisic è gran Milan (7)
Come si avvicina il Diavolo all’incrocio cruciale della stagione, quello con la Roma in Europa League? Qualche tempo fa, ti saresti preoccupato per gli esperimenti di Pioli, per la tenuta delle seconde linee. Il Milan è cresciuto parecchio da allora e ora gioca a memoria con un piglio che non si vedeva dalla volata scudetto. Il Lecce non è il Liverpool ma, specialmente a fine stagione, chi lotta per salvarsi è una mina vagante. I rossoneri saltano a piè pari l’ostacolo, portando a casa una vittoria molto rassicurante. La difesa sembra messa a punto, anche se con la Roma servirà essere più precisi, specialmente senza Tomori e con Thiaw acciaccato. Theo non spacca la partita ma sfiora comunque il gol ma le notizie migliori arrivano dal centrocampo. Yacine Adli non si lascia sfuggire la possibilità che gli dà Pioli, fornendo due assist due che fanno tutta la differenza del mondo.
Reijnders e Chukwueze sono yin e yang della mediana rossonera; qualità, palleggio, dribbling dall’olandese, velocità, fisicità, grinta dal nigeriano. Peccato che sia fin troppo generoso e finisca presto la benzina. La vera sorpresa è Christian Pulisic, che dimostra come un giocatore con la sua classe possa davvero prendersi il Milan per i prossimi anni: alzi la mano chi si sarebbe aspettato che nella posizione di Loftus-Cheek avrebbe fatto sfracelli del genere. Ad approfittare delle sue giocate due attaccanti che vanno a corrente alternata, mettendo assieme lunghi pisolini in campo e giocate devastanti. Qualcuno provi a spiegarmi come fa Leao a passare dall’essere il solito, ciondolante talento sprecato a fare un gol del genere che io non ci riesco proprio. Giroud è Giroud e gol del genere non li sbaglia mentre anche Jovic trova il modo di lasciare il segno. Il Diavolo arriva al massimo proprio al momento giusto. E questo, piaccia o non piaccia, è merito di Pioli.
Roma, la difesa fa la differenza (7)
Riuscire a vincere una partita dai significati molteplici, con il doppio debutto in panchina, con una Roma che non trionfava da troppo tempo è un’ottima notizia per uno come Daniele De Rossi, per il quale il derby non potrà mai essere una partita come le altre. Non è stata una passeggiata di salute, i giallorossi hanno sofferto parecchio, smettendo più o meno di giocare al 25’ della ripresa e subendo fin troppo gli assalti all’arma bianca di una Lazio un po’ pasticciona ma sempre pericolosa. I passi avanti nei confronti della Roma svagata ed impaurita vista al Via del Mare sono prova provata che DdR sa perfettamente come motivare ed organizzare la rosa che ha a disposizione. Magari inserire i rientranti Smalling ed Abraham, ancora non al meglio dal punto di vista fisico, proprio quando la Lazio rischia di dilagare non è il massimo ma l’azzardo ha pagato.
Eppure, nonostante il risultato, non tutto è tranquillo in quel di Trigoria: la mediana mette tanta grinta, esperienza ma nessuno dei guizzi che, di solito, mettono le partite in discesa per la banda De Rossi. L’attacco è un mezzo rebus: Dybala più arretrato non sa bene dove andare, El Shaarawy soffre parecchio la difesa della Lazio mentre Lukaku sta migliorando ma non si capisce ancora come voglia usarlo DdR nel suo attacco ideale. Per fortuna c’è la difesa giallorossa a togliere le castagne dal fuoco, come succede spesso e volentieri. Celik è perfetto nel duello con Felipe Anderson e sbaglia solo quel maledetto colpo di testa nel primo tempo, Llorente è una sicurezza e non fa rimpiangere Ndicka mentre Angelino migliora partita dopo partita, specialmente in avanti. L’anima e il cuore di questa difesa è Mancini, che supera i problemi fisici per mettere una gara memorabile: gol a parte, è chiaramente il migliore in campo. Se basterà per chiudere con un acuto questa stagione lo capiremo giovedì sera.
Juventus, un tempo non basta (6)
Tre punti servivano, tre punti sono arrivati. La Juventus vince e guadagna terreno contro quasi tutte le rivali dirette per la Champions, portandosi più vicina a raggiungere l’unico obiettivo dichiarato per questa stagione di transizione. Tutto bene, quindi? Non proprio. I bianconeri scendono in campo con la rabbia di chi vuole scrollarsi di dosso le tante critiche ricevute in questo periodo nero e rischiano di spazzare via dal campo una Fiorentina troppo brutta per essere vera. A guidare la carica, come al solito, la difesa: Danilo vince il duello con Nico Gonzales, Bremer è una roccia mentre Gatti non sbaglia niente ed ha l’enorme merito di segnare l’unico gol convalidato dal Var. A centrocampo funziona quasi tutto, dal solito, generosissimo McKennie ad un Locatelli tornato sui suoi livelli ad un Kostic finalmente efficace e propositivo: Cambiaso e Rabiot soffrono un po’ ma comunque tengono botta anche quando c’è da soffrire.
Anche gli attaccanti, di solito punto debole della Juve di Allegri, fanno una discreta partita: Vlahovic è sfortunato nel primo tempo per poi calare vistosamente mentre Chiesa è meno devastante del solito ma comunque prezioso. Il problema vero è un altro: dal 55’ in avanti i bianconeri tirano i remi in barca e parcheggiano l’autobus davanti alla porta. Difficile sapere se sia colpa di Allegri o meno ma le seconde linee non riescono a tenere alta la tensione: Iling-Junior come esterno non funziona, Yildiz è scatenato ma troppo nervoso mentre Alcaraz supera a malapena la linea di centrocampo. Il risultato? Quella Juve che non avrebbe rubato niente se avesse chiuso il primo tempo sul 3-0 rischia il tracollo nel finale. Senza la parata assurda di San Szczesny sul tiro di Nico Gonzales le polemiche si sarebbero sprecate. Il risultato è arrivato ed i primi 45 minuti sono stati ottimi. I tifosi bianconeri avrebbero fatto volentieri a meno di soffrire così tanto nel finale ma, per ora, tocca accontentarsi.
Bologna, ora stringi i denti (5,5)
Già me li vedo, i soliti criticoni sotto i portici, pronti a gettare la croce su quel Thiago Motta e su quel gruppo che, fino a cinque minuti fa, sembrava capace di fare qualsiasi cosa. Il risultato della trasferta al Benito Stirpe non è quello che ci si aspettava ma, visti gli scricchiolii visti ultimamente nella macchina perfetta dei felsinei, non è una sorpresa completa. Visto che nel calcio conta solo il risultato dell’ultima partita, molti proveranno a far dimenticare che quello che ha fatto Thiago Motta finora è un vero e proprio miracolo sportivo. Pareggiare in trasferta contro una squadra che, classifica a parte, ha fatto vedere davvero un gran calcio come l’undici di Di Francesco non è certo la fine del mondo. D’altro canto, però, le indicazioni fornite dal lunch match vanno analizzate.
Ora che deve lottare coltello tra i denti per rimanere in Serie A, il Frosinone è tornato attento e molto quadrato, cosa che ha messo in crisi diversi pezzi da novanta dei rossoblu. Quei Freuler ed Aebischer che hanno più volte risolto le partite sono stranamente abulici, la difesa si tiene a galla solo grazie alle buone prove di Lucumi e Skorupski ma i problemi più grossi sono in avanti. Saelemaekers e Ferguson sono irriconoscibili, come uno Zirkzee che gira a vuoto sul campo a caccia Dio solo sa di che cosa. L’unico che è ai livelli di sempre è Orsolini, che, però, sembra davvero predicare nel deserto. A Thiago Motta non riescono nemmeno i cambi: Fabbian e Urbanski fanno il loro mentre Ndoye sbaglia un gol praticamente fatto. La solidità mentale durante una lunga lotta per l’Europa non viene da sé e, ogni tanto, il Bologna scende in campo troppo scarico. Niente di irrimediabile, ma va affrontato in fretta. Ogni punto perso pesa tre volte.
Lazio, basta esperimenti (5)
Dopo l’1-1 complessivo nel confronto con la Juventus, i riflettori erano puntati sulla nuova Lazio di Tudor, per vedere quale squadra sarebbe scesa in campo contro la lanciatissima Roma di De Rossi. Dopo il triplice fischio, l’ottimismo nella sponda biancoceleste della capitale non può che essersi ridotto. Perdere di misura un derby non è disastroso, specialmente non per un progetto pluriennale come quello di Tudor, ma le indicazioni non sono affatto rassicuranti. A preoccupare non sono tanto gli errori di Romagnoli ed il netto passo indietro di Marusic quanto il fatto che gli esperimenti di Tudor si siano rivelati tutti un fallimento quasi totale. Gila, Guendouzi e Vecino sono aggressivi quanto basta e portano energia ad una mediana che tiene sempre a galla la squadra, anche nei momenti più difficili.
Il resto, purtroppo, è un pianto senza fine. Felipe Anderson è troppo decentrato e spende troppo ancora prima di arrivare all’uno contro uno, da sempre la freccia migliore nella sua faretra. La cosa ancora peggiore è che finisce per gravitare nella zona di Kamada, che non riesce proprio a restare lontano dalla sua fascia preferita. Incomprensibile, poi, la fiducia concessa ad un Isaksen in involuzione evidente, che non ne ha indovinata una che sia una. Visto che quando piove spesso diluvia, i rincalzi vivono una giornata da incubo: troppo nervoso Pedro, ingabbiato Luis Alberto. Aggiungi il fatto che nel ballottaggio tra Immobile e Castellanos siano riusciti in qualche modo a perdere entrambi e il quadro è di quelli a tinte fosche. Nessuno si aspettava che Tudor facesse subito dei miracoli ma ora è il momento di fare scelte difficili e non guardarsi più indietro. Il tempo degli esperimenti è finito: ora serve chiudere al meglio la stagione.
Toro, Zapata non basta più (5)
Non invidio davvero chi ha avuto la sfortuna di nascere tifoso del Torino. Ogni singola volta che questa grande società sembra sul punto di voltare l’angolo, ecco il maledetto calo d’attenzione che getta di nuovo nella disperazione una tifoseria che ne ha passate fin troppe da Superga in avanti. La sconfitta in extremis rimediata al Castellani è di quelle che fanno male, proprio perché è arrivata nel momento cruciale della stagione, quello nel quale ogni punto perso pesa tantissimo. Nella pirotecnica partita messa ad Empoli, non tutto è da buttare, a partire dalle prestazioni dell’ex Ricci e Tameze, alla ottima gara messa da Vojvoda sulla fascia sinistra. A tradire Juric, molti dei suoi pretoriani, da un Buongiorno irriconoscibile ad un Bellanova che ha sulla coscienza la rete del 3-2, allo stesso Milinkovic-Savic, non perfetto su Niang.
In generale è tutto il reparto avanzato a soffrire la ferrea determinazione dei toscani, fermamente decisi a portarsi a casa tre punti fondamentali per la lotta salvezza, da un Sanabria che parte bene per svanire dal campo ad un Linetty troppo impreciso fino a Vlasic, gioia e delizia dei tifosi granata, che alterna strappi clamorosi a lunghe pause. Per fortuna del Toro, in campo c’è Duvan Zapata, che decide di farsi un regalo di compleanno in ritardo mettendo due gol da centravanti vecchia scuola che fanno bene al cuore. Riuscirci a 33 anni, tenendo in piedi da solo una squadra in giornata nera, non è da tutti ma, purtroppo, a questo Toro non basta più. D’accordo, l’undici di Nicola, quando è in palla, è una brutta bestia ma una squadra ambiziosa dovrebbe comunque trovare il modo di portare a casa la vittoria. Può darsi che si tratti solo di una giornata storta ma non è la prima volta che il Toro di Juric si perde sul più bello.
Montagne russe Atalanta (5)
Una delle cose che rendono il calcio meraviglioso e allo stesso tempo incredibilmente frustrante è come, nei momenti chiave della stagione, certe squadre riescano a passare dalle stelle alle stalle in pochi giorni. Guardate, per esempio, la prova messa dalla Dea in quel di Cagliari. D’accordo, tra quattro giorni la banda del Gasp deve incrociare le spade con una corazzata come il Liverpool di Klopp, reduce peraltro dal rocambolesco pari strappato all’Old Trafford. Nonostante i sardi abbiano messo una prestazione che solo una squadra di Ranieri può fare, del gruppo schierato dall’Atalanta all’Unipol Domus si salvano davvero in pochi. Kolasinac è il solito cagnaccio mentre il resto della difesa è troppo impreciso e nervoso per reggere il confronto con un Cagliari indiavolato. L’unico a reggere per i 90 minuti a centrocampo è Ederson, con Koopmeiners e De Roon lontani parenti di quanto visto una settimana fa al Maradona.
La prestazione degli attaccanti è quasi incomprensibile: Lookman e Scamacca partono fortissimo, sembrano in grado di fare il bello e il cattivo tempo per mezz’ora e poi svaniscono dal campo. La cosa più problematica, però, è l’impatto disastroso di tutti i cambi di Gasperini. Se la panchina è sempre stata la forza della Dea, stavolta è una disfatta su tutti i fronti: Bakker è pessimo, Holm e Touré sembrano pesci fuor d’acqua mentre De Ketelaere ha troppi problemi fisici per rendere al meglio. Il fatto che l’Atalanta sia scesa in campo con la determinazione giusta per poi tirare i remi in barca appena passata in vantaggio è indicazione che la testa di tutti era già a giovedì. Questo è il bello e il brutto dell’Europa; peccato che potrebbe costare carissimo alla Dea nella battaglia per conquistarsi un posto in Champions la prossima stagione.
Viola, il rebus attaccanti (4,5)
Se l’undici di Italiano avesse fatto un primo tempo così disastroso al Franchi, i fischi avrebbero rischiato di far venir giù la cupola del Brunelleschi. La Fiorentina allo Stadium raramente ha vita facile ma ben pochi dei fedelissimi della Fiesole si sarebbero aspettati 45 minuti così devastanti. Passi falsi del genere, purtroppo, non sono del tutto sorprendenti nella gestione dell’ex tecnico dello Spezia: chissà perché, chissà per come, ogni tanto i giocatori viola sembrano spettatori non paganti più che giocatori di calcio. Kostic e Chiesa fanno ammattire Kayode, Milenkovic non sa come fermare Vlahovic mentre l’unico che si salva è forse Ranieri. La mediana non fa meglio, con Biraghi inconsistente, Mandragora distratto, Bonaventura troppo basso e Barak che mette tanta voglia ma poca consistenza, specialmente in avanti. Lo stesso Nico Gonzales soffre maledettamente Danilo per poi trovare il tiro della domenica nella ripresa, sventato dal miracolo di Szczesny.
All’intervallo, come succede con una certa regolarità, Italiano indovina un paio di sostituzioni, visto che Maxime Lopez riesce a dare la scossa ad una Fiorentina fino a quel momento impalpabile mentre Sottil è decisamente più propositivo, anche se poco fortunato. Il problema dei problemi, però, rimane l’attacco, dove la Viola ha enormi problemi. Kouamé fallisce sia sulla fascia che al centro, Belotti fa grossi passi indietro rispetto alle ultime prestazioni, anche per merito di Gatti e Bremer mentre i rimpiazzi non riescono ad incidere come altre volte. Beltran ha una mezz’ora per fare la differenza ma riesce solo a colpire Nzola e beccarsi un giallo evitabile; l’ex Spezia, invece, gira in campo senza saper bene cosa fare. Nonostante una Juve tornata timida e rinunciataria, la Fiorentina non punge e finisce per lasciare per strada un punto che era sicuramente alla sua portata.
A questo punto mi domando se Italiano sia davvero in grado di risolvere il rebus attaccanti. La Viola è ancora in ballo in tre competizioni e senza gol non si va da nessuna parte. Fossi in lui inizierei seriamente a guardare alla Primavera. Peggio di così è difficile fare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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