"Platini? Molto meglio Barbadillo": come andava la freccia peruviana dell'Avellino

Arrivò nel 1982, dopo il Mundial spagnolo, e subito conquistò la Serie A con giocate offensive esaltanti. "Mi venne a prendere Antonino Sibilia, all'inizio mi chiesi dove fossi capitato"

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"Sì, d'accordo. Michel Platini è un campione, ma l'Avellino ha quel Barbadillo, uno che fa furore". Parole come macigni uscite dalle labbra di Dino Viola, indmenticabile patron della Roma e convinto estimatore dell'ala peruviana. Estate del 1982. Lui, che di nome fa Geronimo - quasi fosse un guerriero - è un idolo del Tigres, in Messico, e della nazionale. Sul metro e ottanta, una settantina di chili, cesta di capelli afro a sormontare uno sguardo che pare perennemente gioioso, come quello che del resto indossa chi sa come fare calcio.

Gli occhi di mezza Europa si spostano su di lui, anche se Barbadillo ne sa relativamente. "In America sentivamo parlare di Falcao, che era un idolo, di Juary e di Paolo Rossi. Nulla di più". Però la nazionale italiana era quella che aveva sollevato la coppa del mondo e la Serie A il campionato più competitivo. Così si lascia convincere a compiere la traversata oceanica.

Tra le molte contendenti la spunta l'Avellino del patron Antonino Sibilia, modi spicci e paternalistici, lingua che sa scavare solchi, andando dritta al punto. "Hai le gambe storte, ma vengono buone per i dribbling. Però ti devi tagliare i capelli", gli dice come messaggio di benvenuto, dopo aver staccato 1 miliardo delle vecchie lire.

Lui si gratta il capo, anche perché il viaggio dall'aeroporto di Roma Fiumicino l'ha frastornato: è arrivato in una città che soltanto due anni prima è stata devastata dal terremoto, ma non ne sapeva nulla. Si gira verso sua moglie e fa: "Ma dove siamo finiti?". Domanda che diventa ancora più consistente quando comprende che le ambizioni della società non sono quelle che gli ha raccontato il suo procuratore. Altro che quarto o quinto posto. Qui c'è da salvarsi.

Alla prima giornata rimedia una gomitata talmente forte che quasi sviene. I difensori italiani dell'epoca sapevano come metterti a tuo agio. Torna a casa, già pronto per fare le valigie. Poi ci ripensa. Menomale. Perché da quel momento diventa la freccia di Avellino o, più comunemente per i tifosi, "El Patron", per via della sua somiglianza con Clarence Edwards III, protagonista della serie tv "Patrulla Juvenil".

In Irpinia resterà per tre stagioni, prima di passare all'Udinese, che lo prende per sostituire Zico. Tre campionati conditi da dieci reti in ottantuno presenze, una quantità infinità di finte, dribbling, doppi passi. Barbadillo è l'avversario che, se sei un difensore, non vuoi vederti davanti mai. Ti salta con il pilota automatico.

In quel periodo riesce sempre a contribuire alla causa,

consentendo all'Avellino di navigare in acque tranquille ed esaltando una squadra di medio - bassa classifica con giocate da fuoriclasse. Abbastanza per guadagnarsi l'affetto inesauribile del popolo irpino.

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