È un sabato mite, quello del 20 settembre del 1997, quando, allo Stadio Belvedere di Bardolino (Verona), una stretta di mano incornicia per sempre un istante emblematico per la storia del calcio femminile. Nella mano sinistra dell’allora neoeletta presidentessa della Divisione Calcio Femminile, Natalina Ceraso Levati – un nome da predestinata, il suo, che sceglie, con meticolosità e fatica, di scrivere l’incipit della vita d’un intero movimento (e, senza esagerazioni, d’un paese) – c’è il trofeo della prima edizione di Supercoppa femminile; con la destra, invece, la figlia d’arte dei fondatori del Fiammamonza stringe la mano alla prima donna italiana ad entrare nella Hall of Fame della Figc, Carolina Morace. Un altro nome, il suo, che pare generare un istantaneo timore reverenziale in chiunque lo pronunci: perché, dal suo esordio, nel 1978, all’anno del suo ritiro dal campo, vent’anni più tardi, l’attaccante veneziana vince ben dodici campionati, conquistandosi per undici volte consecutive anche il titolo di capocannoniere di Serie A, oltre a due Coppe Italia e una, la prima, Supercoppa italiana. A quel punto, quando Morace alza assieme al Modena e alle compagne emiliane l’ennesimo titolo della sua instancabile carriera, ha già collezionato circa 150 presenze in Nazionale, andando a segno per ben 105 volte e diventando la miglior marcatrice di sempre in maglia azzurra, seconda solo a Patrizia Panico.
Come se non le bastassero trofei, record, medaglie al valore (ma quando sei una fuoriclasse vien da sé), Morace s’intesta anche il titolo soltanto – si fa per dire – simbolico di prima donna ad allenare una squadra professionistica maschile, nell’esperienza che la vedrà guidare dalla panchina la Viterbese di Luciano Gaucci in C1, dopo l’annata alla Lazio Femminile, nel 1998, e ai quali colori si legherà nuovamente per la promozione nella Serie maggiore conquistata nella stagione 2020-21. Dal 2000, guida per cinque anni la Nazionale femminile, prima di sbarcare in Canada dove, sempre come Ct, conquista il titolo continentale della Concacaf Women’s Gold Cup (una Coppa delle Nazioni del continente centro-nord americano).
"Lo sport è di tutti: la percezione del calcio femminile può cambiare solo con la cultura e con l’educazione", il mantra della campionessa in una serie di interviste dell’ottobre 2020, in occasione dell’uscita del suo libro “Fuori dagli schemi. Il calcio, la vita, l’amore” (Piemme, 2020). Sembra far eco, con queste parole, ad un pensiero condiviso – e sempre ribadito – dal movimento intero, quasi come didascalia alla professione ma anche come forte rivendicazione (ben raccontato nel documentario Rai Azzurro Shocking di Azzurra Di Tomassi).
Supercoppa 2022: la prima volta giallorossa in undici metri di felicità
È una prima volta già da annali anche la ventiseiesima edizione della Supercoppa italiana 2022, disputata lo scorso sabato allo stadio Ennio Tardini di Parma. Una prima volta di fascino e lotta, perché tenuta – come nel 1997 – in bilico fino alla fine: in questo caso, si arriva fin oltre ai supplementari che incoronarono il Modena di Morace negli ultimi 10’ di gioco, perché sono i calci di rigore e la prontezza di Ceasar, decisiva su Girelli e Cantore, a consegnare il trofeo nelle mani di capitan Bartoli. La prima volta della Roma è, come ogni prima volta che si rispetti, a suo modo estremamente emblematica: perché sancisce un salto di qualità diffuso in contrasto al fin qui indiscutibile dominio juventino nei più alti piani del calcio femminile italiano, e regala prospettive più ampie ed inedite al movimento che, adesso, pare più vivo ed in crescita che mai.
Le ragazze di Spugna, adesso, chiudono una sorta di cerchio simbolico: il primo trofeo giallorosso, che fu di Morace all’apice della sua carriera, è forse il primo tassello de facto per il consolidamento di competitività dal respiro internazionale, visibilità e fondamentali tutele socio-economiche che il riconosciuto professionismo porta con sé.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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