Il campione e il brocco revival di una stagione

Sneijder decisivo come nell’Inter, Felipe Melo indisponente come nella Juve. Il ct Van Marwijk, il trionfo della normalità

Il campione e il brocco revival di una stagione

Ieri qualcuno deve avere finalmente capito quale sia la differenza tra un campione e un brocco. Ieri qualcuno deve avere finalmente capito perché l’Inter ha vinto quello che ha vinto e la Juventus è ancora alla ricerca di se stessa. Il campione, elementare, di nome fa Wesley e di cognome fa Sneijder. Il brocco di nome fa Felipe e di cognome Melo. Tra i due ci sono dieci milioni di differenza, secondo il mercato della scorsa estate, sedici milioni pagati da Moratti a Perez, ventisei versati da Blanc a Della Valle. Posso aggiungere altro? La chiave della partita sta tutta lì, la chiave di un risultato logico che ha messo di fronte la presunzione al pragmatismo. Sneijder ha firmato la vittoria dell’Olanda, Melo ha garantito la sconfitta del Brasile. Un gol di testa dell’artista dell’Inter, un autogol di testa del cafone della Juventus. Una prova lineare, quasi perfetta quella dell’olandese, una prestazione comica quella del brasiliano, coronata da un’espulsione da repertorio.

Le chiacchiere stanno a zero, nel football contano i fatti. Chi arriva dal Brasile gode di pubblicità e rendita naturali, eppure abbiamo avuto esempi di broccaggine acuta, Luis Silvio, Caio, Eneas, Vampeta, per citare a memoria i peggiori. Uno come Felipe Melo, ad esempio, se fosse nato ad Altamura o Codroipo, giocherebbe nelle serie inferiori ma la fama di pentacampeon lo ha reso celebre. Anche gli olandesi godono di rendita, l’eredità dei favolosi anni Settanta si fa ancora sentire, ma quando ci sono, ci sono davvero, è bastato vedere Sneijder e Robben, nei rispettivi club, Inter e Bayern e poi in nazionale, così come è bastato rivedere Huntelaar nel Milan e nei pochi minuti giocati, si fa per dire, ieri pomeriggio. Di Kakà non si hanno più notizie da troppo tempo, temo che la sua parabola meravigliosa sia conclusa.

Lacrime e suicidi a Rio e dintorni. Il Brasile pensava di essere già esacampeon, nel primo tempo ha fatto il gatto con il topo, sicuro di viaggiare verso la semifinale scomoda e in attesa della finale. Dunga, definito l’allenatore del futuro, ha costruito una squadra di palestrati, la scelta di Felipe Melo va a sbattere sulla sua faccia dura. Del resto lo juventino ripercorre alcune posture e giocate del Dunga che fu. La sostituzione di Luis Fabiano, nella fase più calda e decisiva della partita di ieri, ne conferma i limiti e la miopia tattica. Penso che sarà tormentato il suo ritorno a casa, la stampa non lo ha mai amato, questa eliminazione brucerà a lungo e verrà scaricata sicuramente su di lui anche dal presidente Lula.

Di contro Bert van Marwijk è lo sconosciuto che sale in gloria.

Nessuno scrive e parla di lui, non spaccia football, non fa il pazzo in panchina, non si agita, non prega, non scatarra, ha la faccia da maitre d’hotel, di lusso forse, guida una nazionale difficile da guidare, con alcune personalità che non faranno gruppo ma fanno squadra. Finora il cammino dell’Olanda è merito dei colpi dei suoi campioni già citati, ma qualcuno dovrà pure occuparsi di questo allenatore che non trova un titolo e nemmeno un sommario sui giornali e nelle televisioni.

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