Roma - «Il governo va avanti. In Parlamento ci sono i numeri per proseguire e il referendum non è un voto su di me, né sul mio esecutivo». Le urne sono ancora aperte ma i primi dati sull’affluenza non sono affatto incoraggianti. Alle 12 del primo giorno di consultazione, il numero a due cifre (11,6 per cento) snocciolato dal Viminale non promette nulla di buono. Alle 19 di sera il dato cresce: oltre il 30 per cento. Avanti così e il quorum potrebbe essere raggiunto, con la scontata vittoria del «sì». Vale a dire abrogazione di quattro provvedimenti targati centrodestra.
Berlusconi, ieri sera rientrato a palazzo Grazioli a Roma dopo un paio di giorni in Sardegna, attende il risultato finale della partita ma in caso di sconfitta sa già cosa fare: spallucce. Nel merito dei quesiti: sul legittimo impedimento, «pazienza, tanto non mi serve»; i due sull’acqua, «peccato, la gente non ha capito che l’acqua sarebbe rimasta pubblica»; sul nucleare, «un’occasione persa dettata dell’emotività». Ma nell’insieme l’obiettivo resta quello di disinnescare la mina di una lettura politica del referendum sebbene il segnale non sia da prendere sotto gamba. Per le opposizioni il raggiungimento del quorum sarebbe l’ennesimo avviso di sfratto per il governo ma il Cavaliere è intenzionato a restare in sella: «Alla Camera avrò i voti, questo è quello che conta», continua a ripetere ai suoi. La settimana prossima, infatti, a Montecitorio planerà il decreto sullo Sviluppo su cui il governo ha già posto la fiducia. Poi, a fine giugno, la verifica - fissata per il 22 - richiesta dal capo dello Stato in seguito alle recenti nomine fatte dall’esecutivo. Presumibilmente non ci sarà una vera e propria fiducia ma una sorta di mozione su cui votare per avere il via libera dall’assemblea.
Numeri ballerini per la maggioranza? Sulla carta no, ma sott’occhio rimangono i Responsabili, visto che qualche mal di pancia tra chi sperava di ottenere un posto al sole che non ha ottenuto, persiste. E poi ci sono i movimenti di Miccichè, fresco di abbandono del Pdl che, sebbene abbia giurato fedeltà alla maggioranza e al governo, si pone sulla strada di una sempre maggiore autonomia. In funziona antileghista, per di più. E a proposito di Lega, il cruccio vero del presidente del Consiglio è quello che sta accadendo in casa del suo alleato di ferro. I movimenti in casa leghista sono contraddittori e a tratti indecifrabili: da una parte ci sono esponenti del Carroccio che si sono esposti nella critica a Tremonti e, assieme al Cavaliere, hanno chiesto al ministro un colpo d’ala. Tradotto: va bene la prudenza sui conti ma adesso bisogna dare sollievo a famiglie e imprese. Non ultima la rassicurazione di Bossi con quel suo «per fare la riforma del fisco bisogna trovare i soldi anche se per la verità i soldi li abbiamo trovati». Rassicurante, non c’è che dire. D’altra parte però, in certi settori della Lega, persiste una malcelata insofferenza nei confronti del premier. E se l’amico Umberto dovesse cedere a chi pensa che «con Berlusconi si perde», sarebbero guai.
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