"Che l'Apocalisse sia con noi. I suoi segreti danno speranza"

"La Rivelazione è una vera lettera indirizzata a persone reali che hanno vissuto vite reali e hanno lottato per rimanere fedeli al Dio di Israele in un mondo oscuro e pagano e per collocare la confessione in Gesù Messia di Israele entro quella cornice", ci spiega monsignor Gianantonio Borgonovo, autore di Apocalisse-Rivelazione di Gesù Messia

"Che l'Apocalisse sia con noi. I suoi segreti danno speranza"

«La Rivelazione è una vera lettera indirizzata a persone reali che hanno vissuto vite reali e hanno lottato per rimanere fedeli al Dio di Israele in un mondo oscuro e pagano e per collocare la confessione in Gesù Messia di Israele entro quella cornice. Essa parla al loro cuore di credenti nel contesto delle loro reali persecuzioni» dice monsignor Gianantonio Borgonovo, traduttore e curatore di una nuova edizione dell'Apocalisse-Rivelazione di Gesù Messia (appena uscita per Luni editrice). Ma l'Apocalisse ha anche un valore universale, perché universale è la storia della persecuzione e l'anelito per una resurrezione della carne: «Questa lettera apocalittica contiene in sé anche parole profetiche che, interpretando nello Spirito quanto sta succedendo in quei decenni, dischiudono anche il senso di quanto sarebbe successo nel prossimo futuro». L'Apocalisse-Rivelazione di Gesù Messia è un testo capace di suggestionare, spaventare, ispirare, convertire per quasi duemila anni. Abbiamo incontrato Borgonovo a Milano.

Monsignore, da quale ambiente proviene l'Apocalisse di Giovanni?

«Il retroterra linguistico e teologico è giudaico. In particolare, ci sono 70 libri di apocalittica della tradizione di Enoch. La conoscenza di questa tradizione è fondamentale per capire il linguaggio e anche il simbolismo religioso dell'Apocalisse. Se si recide il legame, l'interprete rischia di fraintendere. Tra l'altro, è proprio la tradizione di Enoch a creare la frattura con il giudaismo. Prendiamo il Vangelo di Marco. Il sommo sacerdote interroga Gesù e chiede: Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?. Gesù risponde: Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo . È una citazione diretta di Enoch e anche la prova sufficiente per condannare a morte Gesù per blasfemia. Cristo stesso dunque si esprimeva con le parole di quella tradizione».

Chi è l'autore dell'Apocalisse?

«È Giovanni il presbitero, come egli stesso si definisce. Non è Giovanni l'apostolo. Se fosse stato quest'ultimo, lo avrebbe detto chiaramente. Quindi era un membro della prima comunità giudeo-cristiana. Perché giudeo-cristiana? Bisogna aggiungere un altro elemento a quanto si diceva prima. Non è solo questione di ambiente culturale. È anche una questione linguistica. Giovanni scrive in greco ma pensa in ebraico. Certe incongruenze nei tempi verbali si appianano immediatamente se si ritraduce il greco in ebraico. La difficoltà del greco dell'Apocalisse è sottolineata da tutti. Solitamente la si attribuisce alla scarsa cultura di Giovanni. In realtà, Giovanni non conosce bene il greco: non è la sua lingua madre. La utilizza per necessità e per raggiungere un pubblico più ampio, il greco era una lingua di comunicazione, l'equivalente dell'inglese di oggi».

Lei scrive che era un profeta itinerante. Perché?

«L'Apocalisse è indirizzata a sette chiese. Non si rivolge a tutte le chiese. Fermiamoci un attimo sul numero, per niente casuale. Il sette è un numero santo, segno di pienezza. Insomma: parla ad alcune chiese, altrimenti non userebbe il numero, ma vorrebbe rivolgersi a tutte, altrimenti non avrebbe usato il sette. La figura del profeta itinerante non è così rara. Erano predicatori che non appartenevano a una comunità in particolare. Giovanni non era un episcopo, cioè il capo di una comunità specifica. In questo caso, Giovanni doveva muoversi nelle chiese sulla costa dell'Egeo, nella attuale Turchia. Viaggiava tra l'una e l'altra. Le visitava. Era conosciuto in tutte».

Quali sono gli elementi utili a datare l'Apocalisse?

«Innanzi tutto, è evidente l'ostilità verso il giudaismo dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme. La Rivelazione ne descrive la fine ingloriosa. Giovanni evidentemente aveva visto la caduta del Tempio, siamo dunque dopo il 70. La nuova Gerusalemme non ha più Tempio. Quindi la nuova Gerusalemme è una Gerusalemme che non ha più niente a che vedere con il Tempio antico. Per un giudeo è una rivoluzione, per questo dico che è un testo giudeo-cristiano. C'è un altro elemento cruciale: la fine dei Sette Re. I Sette Re di Roma non c'entrano nulla. Sono i Sette Re della dinastia erodiana. C'è un riferimento diretto ad Agrippa II, che fu il settimo Re della Giudea (per due volte: governò qualche anno, sparì, fece un fugace ritorno, sparì nuovamente). Siamo alla fine del secolo, tra il 93 e il 97. La dinastia non va oltre. Giovanni sta vivendo il tramonto di questo mondo, non è infatti chiaro, nel testo, se il settimo Re ci sia ancora. Questo è dunque il momento esatto fotografato, per così dire, dalla Apocalisse».

Dunque Roma non c'entra nulla con l'immagine della Grande prostituta?

«È vero che Roma è la Grande prostituta perché prende tutti i vari regni e li manipola, li prende per sé, al fine di estendere il proprio dominio dappertutto. Ma anche Gerusalemme era stata definita prostituta per aver tradito l'alleanza con Adonai, l'onnipotente. Qui il risentimento contro i sacerdoti del Tempio si mescola alla ostilità verso l'invasore romano. I sacerdoti si sono alleati con i romani, insieme con gli erodiani. Essi hanno portato alla rovina il popolo giudaico e questo è il peccato della Gerusalemme sacerdotale. Tanto è vero che è stata distrutta. L'Apocalisse si schiera contro i sacerdoti di Gerusalemme, interessati a fare soldi, e contro la dinastia di Erode, non ebraica. Le riassumo la triade: Roma la grande prostituta, il sacerdozio di Gerusalemme che cavalca la grande prostituta, e la dinastia di Erode che approfitta della situazione per impadronirsi del potere».

Quindi l'Apocalisse è una lettera che fa riferimento a fatti reali indirizzata a comunità reali... Come si inserisce nel Cristianesimo delle origini?

«Non c'era ancora una divisione chiara tra le comunità giudeo-cristiane e le comunità di Paolo che erano invece elleniste più che altro. C'erano anche dei giudei ma erano comunque provenienti dalla cultura greca. La seconda (115-117) e la terza guerra giudaica (132-135) spezzarono il cordone tra le chiese giudeo-cristiane e le chiese ellenistico-cristiane. L'imperatore Adriano decise di farla finita con ogni forma di giudaismo. Decise di cancellare ogni nome giudaico e di cambiare il nome proprio a tutte le cose. Per questo il nome Palestina è odioso per l'ebraismo, perché la Giudea divenne la provincia siro-palestinese. Palestina si riferisce a Filistein, i filistei. Niente di ebraico, dunque. A questo punto, la grande chiesa, che era ormai la chiesa ellenistico-cristiana dispersa in tutto l'Impero, ben oltre le coste dell'Egeo, si allinea con l'imperatore».

E le chiese giudaico-cristiane?

«È una lunga storia ma saranno considerate eretiche. Questo è la vera rottura con le radici giudaiche. Nel 2025, celebriamo i 1700 anni del Concilio di Nicea. Il Concilio consacra la chiesa ellenistico-cristiana. Le comunità giudaico-cristiane sono emarginate come sette ereticali, perché non riconoscono lo stesso credo di Nicea».

E tutto questo cosa ha a che fare con l'Apocalisse di Giovanni?

«Con molta difficoltà l'Apocalisse è finita nella Bibbia. Ancora oggi alcune chiese d'Oriente non riconoscono l'Apocalisse come libro canonico. Lo considerano un apocrifo che è dentro, vicino, attorno al canone biblico».

Perché?

«Proprio perché è molto marcato lo spirito giudaico. Ripercorra le tappe storiche che abbiamo appena ricordato. Alla fine del primo secolo, quando scrive Giovanni, comunità giudeo-cristiana e comunità giudaico-ellenistiche su molte cose ancora si confondevano, vivevano in parallelo anche perché le usanze della legge giudaica erano mantenute. Da lì in avanti invece emerge la diversità e allora l'Apocalisse, che è nata prima, rimane effettivamente come patrimonio comune. Dice delle cose che valgono per tutti i cristiani. Il ritorno glorioso di Cristo Signore, il giudizio finale di Cristo Signore... Sono elementi che erano presenti anche nella teologia di Paolo. Nei primi tempi, Paolo, non ancora smarcato dallo spirito giudaico, pensava proprio che il Signore Gesù sarebbe arrivato di lì a poco, la gloria si sarebbe manifestata quasi subito. Quando poi invece ha capito che le cose non erano così, Paolo ha cambiato linguaggio».

In che senso?

«Se lei legge ad esempio la prima lettera ai Tessalonicesi da una parte e la lettera ai Galati o ai Romani dall'altra, vede che ormai il pensiero di Paolo è cambiato. Nella lettera ai Tessalonicesi si parla ancora della venuta del Cristo glorioso, come se fosse oggi, domani. Potrebbe essere di qui a poco, quindi state pronti perché si manifesterà presto. Poi il giudizio è spostato alla fine dei tempi e noi viviamo oggi nella fede e nella speranza di quell'incontro che avverrà alla fine dei tempi. Quello che era legato a quel momento storico è ormai superato e proiettato in avanti».

Ma un testo che è così radicato nella storia in che senso è una profezia?

«Non nel senso di Nostradamus! La profezia è interpretazione della Storia. Per questo è importante capire quali eventi siano descritti o trasfigurati nel testo. Però l'interpretazione diventa annuncio. Dio, dopo aver vissuto con Israele, dentro i confini di Israele, attraverso la Croce, si rivolge a tutte le genti, cambiandole».

Se la profezia è interpretazione di tutta la Storia, come andrà a finire la Storia?

«Andrà a finire che tutti saranno ricondotti dal Figlio e saranno un'offerta gradita a Dio, non solo Israele. La profezia è proprio questa: il giudizio finale non sarà per Israele soltanto, il piccolo Israele delle dodici tribù, secondo la tradizione giudaica, ma sarà l'Israele che raccoglie in sé tutte le genti del mondo».

L'Apocalisse ha immagini ed espressioni capaci di segnare la fantasia di chiunque l'abbia letta. Molti sono stati colpiti dal «numero della Bestia»: il 666. Cosa significa?

«La cosa è interessantissima. Il testo è greco, quindi, la numerologia dovrebbe fare riferimento all'alfabeto e al vocabolario greco. Il testo dice che il numero va letto con intelligenza e indica una persona: chi è capace risalga dunque al nome».

E chi è dunque la Bestia 666, non è il diavolo?

«È l'imperatore Nerone. Si può ricavare attraverso la ghematria, una disciplina dei numeri applicati alle parole. Per il greco era diffuso. Per il latino meno. Ma cosa penserebbe se le dicessi che molti manoscritti tramandano un altro numero, il 616?».

Non mi dica che c'è un'altra Bestia?

«No, l'errore nasce dall'applicazione della ghematria all'alfabeto latino. Nerone si scriveva in maniera diversa, ovviamente, rispetto al greco. Questo piccolo esempio spiega l'importanza di un approccio filologico a questo testo straordinario».

Perché Nerone?

«Alla fine del primo secolo era considerato il più crudele tra gli imperatori romani perché contro la comunità giudaica e cristiana ne aveva fatte di tutti i colori».

Cosa dice l'Apocalisse al lettore di oggi?

«Dice che la storia umana non è affidata al caso. Chi la legge con profondità scopre un disegno ben preciso. La forza dell'Apocalisse è di dare un messaggio di fiducia. Giovanni dice al cristiano, e non solo al cristiano: può sembrare di trovarsi in una situazione storicamente drammatica, dalla parte perdente, per così dire. Ma la storia va guardata per intero, inclusa quella a venire. Allora si capisce che si compirà tutto ciò che Gesù ha annunciato nei suoi discorsi, nella sua morte in croce, nella sua resurrezione. Tutto verrà ricondotto a lui. Il vero Re è lui. Non l'imperatore romano. E allora, dice Giovanni al lettore, se vuoi capire la storia, mettiti dalla parte di Cristo crocifisso e risorto. L'Apocalisse trasmette un messaggio di fiducia. La Storia non è decisa dai romani. L'impero finirà, come tutte le cose terrene. La Storia è decisa da Gesù crocifisso e risorto. Lui solo tiene in mano la sorte dell'universo».

Se questo è il senso dell'Apocalisse, perché lo esprime in modo esoterico? Perché è nascosto dietro a una simbologia complessa?

«Tenga conto che era normale esprimersi attraverso questa simbologia. No, non direi nascosto. Direi invece che richiede lo sforzo del lettore. Tocca a lui decifrare il messaggio, che è ben preciso. Per avere il messaggio devi sapere cosa sta dietro a questi nomi, a queste vicende. Non è volontà di nascondere, è una mentalità misterica, ovvero guarda meglio e scoprirai cosa c'è veramente dietro alla Storia».

Ma questo non esclude troppa gente dalla rivelazione?

«Ma è anche accogliere, no? Come tutte le varie forme di misterosofia, il sapere

dei misteri antichi. Tu devi imparare alcune cose. Se impari questo linguaggio, hai tutto il bagaglio per comprendere. Se non vuoi imparare questo è perché allora vuoi star fuori. Va bene, ma sei tu che non ti interessi».

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