CHIAMATELE PURE COINCIDENZE

«A noi la sua versione sembra poco credibile...» sbotta, a metà dell’intervista, la giornalista Fiorenza Sarzanini. Però, anche ritenendole poco credibili il Corriere dedica una mezza pagina alle dichiarazioni di Patrizia D’Addario, una biondazza che afferma d’aver preteso d’esser pagata per incontrarsi con Berlusconi e, al secondo turno, d’aver trascorso la notte a Palazzo Grazioli. Ovviamente in compagnia di altre due ragazze perché la vulgata questo pretende, che al premier piaccia il branco. La discesa in campo del quotidiano di via Solferino con rivelazioni ritenute poco attendibili, ma che comunque sbattute in prima pagina, cambia un po’ le carte sul tavolo dello scandalismo antiberlusconiano. Prima che fossero rese note le balle della signorina D’Addario, a condur le danze era, in solitario, La Repubblica. Anche se si spaccia per libero e indipendente, Repubblica è un giornale-partito e di partito, uso quindi a esporsi quando in campagna elettorale si tratta di tirare la volata al Franceschini di turno. Questa volta ha voluto anche darle l’indirizzo, alla campagna elettorale, ponendole a soggetto, i (supposti) vizi privati di Berlusconi. Strumentalizzando certe dichiarazioni della signora Veronica; la familiarità con una diciottenne che con ogni probabilità prima d’esser maggiorenne era minorenne e chi vuol capire capisce; le fotografie, scattate di straforo a Villa Certosa, di giovani in minigonna - in minigonna! - o addirittura, sul bordo di una piscina privata, in topless, cosa mai vista in Sardegna; di altra giovane che calzava stivali di velluto, che in spagnolo si dice «tertio pelo» e anche qui chi volesse capire, capisca.
Cavallo perdente lo si lascia in scuderia e senza biada. Ma allora come mai a batosta elettorale consumata l’irriducibile Repubblica seguita a pubblicare le famose dieci domande poste a Berlusconi? La prima delle quali, questo per dare un’idea dello spessore etico, della valenza politica oltre che dello spirito inquisitorio che anima la direzione di Repubblica, recita: «Signor Presidente, come e quando ha conosciuto il padre di Noemi Letizia?». Come mai seguita a frugare neanche più nella pattumiera, ma nei pozzi neri, nelle fosse biologiche, nelle colonne montanti, negli scarichi dei cessi, insomma, alla ricerca di qualsiasi indizio che possa contribuire alla damnatio personae del Cavaliere? E come mai le giunge di rincalzo Il Corriere della Sera? E come mai ogni due per tre un paparazzo se ne esce affermando di custodire cinquemila, diecimila, ventimila fotografie scattate, dentro e fuori la villa del peccato, con un teleobiettivo al confronto del quale il telescopio di Monte Palomar diventa un giocattolo?
Noi non abbiamo mai creduto al complotto. Crediamo molto nella malafede, nel settarismo e nella sostanziale cretineria di chi monta certi «scandali». Di chi dà corpo alle suggestioni morbose delle damazze girotondine. Ma vederci un piano organico e strutturato per dare quella «scossa» invocata da Massimo D’Alema e approdare all’impeachment di Berlusconi per gravi deficit morali e familiari («Fareste allevare i figli da un uomo come lui?» disse - non gli scappò: a bella posta disse - Franceschini), questo no. Fino a ieri. Fino alla chiamata sul palcoscenico di Patrizia D’Addario le cui «rivelazioni», in una situazione normale, non avrebbero meritato nemmeno il titolino a una colonna a pagina 23. Possiamo sbagliarci, siamo forse troppo sospettosi, ma l’impressione è che si stia sviluppando una macchinazione, una tresca per toglier di mezzo Berlusconi. E ciò ci rende inquieti, ma non per le sorti del Cavaliere.

Per la tenuta mentale di quanti intenderebbero sbarazzarsene facendo leva sulle D’Addario, sugli stivali di velluto e un paio di topless bordo piscina. Perché se è così, sappiamo anche chi orchestra il complotto: i fratelli Vanzina.

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