Chitarristi pazzi e misticismo. La strana storia dei Fleetwood Mac

Prima del successo mondiale, c'erano il genio di Peter Green e una band fake

Chitarristi pazzi e misticismo. La strana storia dei Fleetwood Mac

Nel 1977, l'album Rumours vendette quaranta milioni di copie e i Fleetwood Mac diventarono uno dei gruppi più famosi del mondo. Il chitarrista Lindsey Buckingham e la cantante Stevie Nicks, entrati nella band solo due anni prima, erano le principali forze creative e sonore. Quello di Rumours era un rock levigato, a tratti raffinato, che si rivolgeva a un pubblico adulto e aveva l'ambizione (soddisfatta) di riempire le arene americane.

Prima di sbancare le classifiche, i Fleetwood Mac suonavano il blues e sfoderarono, per un certo periodo contemporaneamente, tre grandi chitarristi: l'ineguagliabile Peter Green, il sensibile Jeremy Spencer e l'esplosivo Danny Kirwan.

Ai Fleetwod Mac del 1969-1974 è dedicata il recente Best Of. Sono gli anni in cui Green scrive i suoi capolavori prima di passare il testimone ad altri: soprattutto Kirwan ma anche i nuovi arrivati Bob Welch e Christine McVie.

Peter Green, il bassista John MacVie e il batterista Mick Fleetwood erano fuggiti dai Bluesbreakers di John Mayall, l'uomo che tenne a battesimo (o quasi) talenti come Eric Clapton e Mick Taylor, poi scelto dai Rolling Stones per sostituire Brian Jones.

Fleetwood e MacVie erano e sono una solida sezione ritmica. Peter Green aggiungeva la magia di brani come Man Of the World, Albatross, Black Magic Woman. Era un ottimo autore ma soprattutto un genio della chitarra. Nessun bianco sapeva interpretare il blues come lui. Aveva la capacità di prendere una nota, tirarla fuori dal buio, farla brillare per un attimo e poi lasciarla svanire. Un percorso simile a quello delle nostre vite. Clapton era soprannominato Slowhand perché esercitava una forte pressione sulle corde con la mano sinistra. Green era leggero come una piuma (anche se poteva suonare esattamente come Clapton).

I Fleetwood Mac si guadagnano subito una solida reputazione ma riescono anche ad affacciarsi in alta classifica. And Then Play On, uno dei capolavori degli anni Sessanta, accompagnato da due clamorosi singoli, Oh Well e The Green Manalishi, sono il canto del cigno di Peter Green. Gli album successivi sono considerati mediocri ma il Best Of riesce a far cambiare idea. Quanto meno c'erano anche ottime canzoni in dischi spesso sbertucciati come Kiln House, Future Games, Bare Trees, Penguin, Mystery to Me e Heroes Are Hard to Find. Senza contare che i Fleetwood Mac non riescono a fare due album di fila con la stessa formazione. Poi arriverà l'epoca di Rumours, tutta un'altra musica anche in termini commerciali. Ma cos'è successo ai tre assi della chitarra, Peter Green, Jeremy Spencer e Danny Kirwan?

Nel 1970, Green entra in crisi mistica, forse accentuata da un «viaggio» con l'acido lisergico finito male. Si sente a disagio con il successo. Non vuole i soldi. Propone ai compagni di tenere solo una parte dei guadagni e di donare tutto il superfluo. Una notte ha un incubo: vede un minaccioso mostro verde con le corna. Quel demone simboleggia il denaro, che ci rende inautentici e ci fa sprofondare nel peccato. Il sogno diventa The Green Manalishi, un brano che chiude con il blues per aprire mille altre porte, dal rock psichedelico all'heavy metal, tanto che pochi anni dopo sarà il cavallo di battaglia dei durissimi Judas Priest. Green, anni 24, sparisce senza preavviso e abbandona i Fleetwood Mac. Registra un altro album imprescindibile, The End Of the Game, una fuga perfettamente riuscita nel jazz rock. Da qui in avanti sono illazioni e semi-certezze: si unisce a una comune di Monaco di Baviera, finisce in ospedale psichiatrico, gli viene diagnosticata la schizofrenia, è sottoposto a disastrose sedute di elettrochoc, ogni tanto riemerge per incidere dischi mediocri nei quali è quasi irriconoscibile. Fa una apparizione in un altro disco dei Fleetwood Mac, il bellissimo Tusk. Negli anni Novanta riemerge con lo Splinter Group ma onestamente il tocco si avverte solo a tratti.

Sembra incredibile: nel 1971 anche Jeremy Spencer, anni 23, sparisce durante un tour negli Stati Uniti, tra le tappe di San Francisco e Los Angeles. Ha avuto una premonizione, forse indotta da un abbondante consumo di mescalina: l'apocalisse è vicina. Bisogna pensare alla salvezza dell'anima e stare alla larga dalla faglia di Sant'Andrea dove la terra si spaccherà in due per inghiottire i peccatori. Lo ritrovano giorni dopo in una comune della setta Children of God nella quale tuttora milita. Abbandona lo strumento ma progressivamente mette fine al suo silenzio. Nei principali servizi on line trovate numerosi album a suo nome. La slide guitar di Spencer è ancora quella di un tempo anche se ora è al servizio di Dio.

Non è finita qui. Nel 1972, infatti, anche il terzo chitarrista, Danny Kirwan, ancora 22enne, fa di tutto per essere licenziato. Prima di salutare tira una testata in faccia a Bob Welch, entrato nei Fleetwood Mac per rimpiazzare Spencer, perché accorda male lo strumento. Poi Danny prende la sua amata Gibson Les Paul nera e la frantuma. Non vuole più suonare, lui, completo autodidatta, titolare di un suono esplosivo. Dopo l'inevitabile licenziamento, incide qualche album solista ma nel 1979 lascia la musica. Problemi di salute mentale.

Se pensate che le stranezze finiscano qui, vi

sbagliate. C'è tempo infatti per una disputa legale sul nome della band. Il manager, nel 1973, mentre le cose vanno decisamente male, recluta dei falsi Fleetwood Mac e li manda in tour al posto di quelli veri per quasi un anno...

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