«Chiudo col Medico in famiglia e mi tuffo nel mondo del calcio»

Il comico festeggia i settant’anni preparando il ritorno al cinema con il personaggio di Oronzo Canà in «L’allenatore nel pallone 2»

Lucio Giordano

da Roma

Buon compleanno, Lino Banfi. Sa già dove sarà l’11 luglio, il giorno dei suoi 70 anni?. «A Cannes, con mia moglie Lucia. Lei ed io da soli. Quello è l'unico posto dove c'è tutto ciò che amo: le ostriche, i ricci, il palazzo del cinema, le interminabili passeggiate sul lungomare. Purtroppo sarà una vacanza breve, quattro cinque giorni al massimo. Sa, la settimana dopo inizio le riprese della nuova fiction di Raiuno Piccoli padri».
Non molla Lino Banfi, nome d'arte di Pasquale Zagaria, quello che nelle commedie anni Settanta amava la mamma e la polizia. La maggior parte dei suoi coetanei si godono la pensione. Lui invece ha lo sprint di un ventenne. Per dire: domani sarà a Valencia, in mondovisione, per la giornata internazionale della famiglia, a rappresentare l'Italia nel viaggio pastorale di Benedetto sedicesimo. Domenica, il ritorno a Roma, per vedere con i suoi cari l'Italia del calcio nella finale contro la Francia. E lunedì eccolo in Campidoglio. Dove il sindaco della Capitale Walter Veltroni gli sta preparando una festa a sorpresa. Sperando, come auspica Banfi, che «Nonno Libero venga fatto cittadino onorario di Roma». E dopo Cannes? Al lavoro per tutta l'estate e oltre. Piccoli padri è la storia di un papà che all'improvviso scopre di avere una figlia omosessuale, interpretata da Rosanna Banfi. Poi c'è Un medico in famiglia ad ottobre: «Non l'ho mai rivelato a nessuno, dice l'attore, ma questa sarà davvero l'ultima serie. Quello che potevamo raccontare l'abbiamo raccontato. Sono stanco di interpretare un personaggio che peraltro mi ha dato tantissimo. Nell'ultima puntata Nonno Libero andrà davvero in pensione da tutto». Lui, non Banfi appunto. Che a fine 2006 si farà un regalo degno: il ritorno al cinema, a distanza di vent'anni, con L'allenatore nel pallone 2.
Perché proprio il seguito di quel film?
«Semplice. Oronzo Canà, allenatore pazzo e incompetente, pioniere del modulo 5 5 5, è un tipo che piace. In dvd ha venduto già centocinquantamila copie. E con lo scandalo Moggi la storia è di estrema attualità. Così mi sono inventato che una squadra di calcio nella bufera si metta alla ricerca di un allenatore in pensione vecchio stampo, per il rilancio sportivo. Oronzo Canà è pronto alla sfida e visto come stanno andando le cose nel mondo del pallone è davvero necessario che torni».
E tornerà anche a lavorare al fianco delle tante bellissime attrici con le quali recitava nei film scollacciati del filone... scolastico?
«Mi piacerebbe molto. Giorni fa ho incontrato Edwige Fenech. Ancora bellissima, anche se lei sostiene di essere invecchiata. Con lei ho interpretato undici film, è la mia attrice preferita a pari merito con Laura Antonelli. Le ho proposto di recitare di nuovo insieme. Ha sorriso, rispondendomi perché no».
Del resto, lei Banfi, ormai se lo può permettere di tornare sul luogo del delitto. Grazie a Nonno Libero è stato sdoganato: è un attore di serie A.
«A un Medico in famiglia devo molto, soprattutto l'amore della gente. Ma è Nuda proprietà, un film sulla terza età interpretato con Annie Girardot, che ha contribuito a dare una svolta alla mia carriera».
L'approvazione della critica è arrivata tardi. Ha mai provato invidia per quei colleghi che ce l'hanno fatta da giovani?
«No: semmai invidiavo la loro bellezza. Io sono brutto, grasso e con pochi capelli. Per il resto a me interessava farcela, quando non aveva importanza. Sapevo però che ci sarei riuscito. Determinato com'ero ho lasciato Canosa di Puglia a 18 anni, per trasferirmi a Milano, dove senza una lira e alla ricerca di un ruolo nel teatro di varietà, ho dormito anche dentro i portoni dei palazzi. Vita grama illuminata da una luce, quella di mia moglie, un matrimonio felicissimo che dura da quasi cinquant'anni».
Come vi siete conosciuti?
«Ci incontravamo all'uscita della Messa, in paese. Ma i suoi genitori non erano contenti di un genero che sognava di fare l'attore. Allora siamo scappati a Bari mettendoli di fronte al fatto compiuto. Solo con la nascita di Rosanna mi hanno accettato. E dopo Walter, l'altro mio figlio, sono addirittura venuti a vivere con noi. Ci siamo voluti un gran bene».
È vero che è stato lei a far nascere Rosanna?
«Il medico che doveva far partorire Lucia ebbe un contrattempo. Così mi trovai solo con l'ostetrica ma seguii le sue indicazioni e me la cavai benissimo, salvo gettare il cordone ombelicale nel water. Intasai la colonna di scarico tra le proteste degli altri condomini. Poi ci ho preso gusto e ho aiutato a far nascere anche i miei due nipotini, la gioia più grande della mia vita».
Altre gioie?
«Il giorno in cui sono stato nominato ambasciatore Unicef, nel 2001».
Delusioni?
«Una piccola ulcera me la sono presa con Gran Casinò, un varietà di Raiuno. Ero reduce dai successo di Domenica in dell'88: dieci milioni di telespettatori. Alla terza puntata non avevamo superato i cinque. Me l’hanno chiuso».
Certo altre ulcere deve essersele prese recitando al fianco di attrici bellissime: guardare e non toccare sono cose da crepare.
«Ma io toccavo, toccavo.

Magari, per educazione chiedevo prima il permesso, come con la Bouchet che recitava sempre con il marito produttore presente. E quando mi capitò di carezzare il bellissimo di dietro di Nadia Cassini la gente che mi incontrava per strada mi diceva: “A Lino, beato te... E adesso nun te lavà più la mano, me raccomando”».

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