Fa freddo e se il tempo non fosse ormai così bislacco non ci sarebbe neppure da stupirsi. È un dicembre romano e al centro di una piazza anonima c'è un presepe, illuminato da luci intermittenti. Ribellarsi alla notte (Paoline, pagg. 214, euro 16) di Mimmo Muolo è un viaggio spirituale alla ricerca della speranza. Tutto comincia con un sacrilegio, qualcuno ruba la statuetta di Gesù Bambino dal presepe monumentale voluto da don Eugenio, il parroco del quartiere. Il furto diventa il pretesto per raccontare una coralità di personaggi, ognuno segnato da ferite e fragilità: Antonio, un bambino malato che osserva il mondo dalla finestra; Walter, detto «Compagno Lenin», ribelle e disincantato; e lo stesso don Eugenio, custode di una fede messa alla prova dalle difficoltà quotidiane e dalle tensioni sociali del quartiere. Il presepe, svuotato del Bambinello, diventa metafora di un'umanità che ha perso il suo centro, il suo legame con la trascendenza. C'è una piazza che sembra un deserto, una «vertigine di buio e silenzio». Il cuore del racconto è il Natale, ma non quello scintillante. È un Natale vissuto come atto di resistenza alla notte, come capacità di cercare la luce nelle pieghe della sofferenza e del dubbio. È una ricerca disillusa della felicità. È la sfida tra chi si abbandona al buio e chi si ostina a cercare la luce. Il presepe potrebbe essere cosa di niente. Non rappresenta la realtà. È una tradizione. Sono pupazzi. Avatar di avatar. Solo che quel presepe, che evoca l'ossessione di Lucariello/Eduardo De Filippo in Natale in casa Cupiello, è un pezzo di metafisica, una pietra d'angolo, che è svanita, lasciando uno squarcio, un buco nero che tende a inghiottire tutto ciò che tocca il suo orizzonte. È la resistenza alla festa. È un notturno in Mi minore quello che si sente. «Quanto è lunga e buia la notte. La notte di Termini con i suoi angeli caduti, avvolti in luride coperte e cartoni di fortuna. La notte di San Lorenzo o di Pinte Milvio che macina vite tra alcol e sballo.
La notte di Ostia e di Primavalle, di Acilia e Tor Pignattara, che combatte l'eterna lotta di guardie e ladri e non è detto che a vincere siano sempre le prime. Dio, quanto è lunga e buia la notte. La notte di Roma, più lupa che mamma. La notte ancora padrona». È lunga e buia per tutti, universale.
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