Perse un Giro per soli 12 secondi, lo stesso tempo che dedicava alle interviste, tanto era timido e schivo. Oggi Giovanbattista Baronchelli pedala sereno sul traguardo dei 70 anni, per il piacere di raccontarsi e fare un bilancio di una vita che lui non ha timore a definire «fantastica».
Oggi sono 70, un traguardo che merita di essere festeggiato.
«Io non festeggio mai, ma quest`anno lo farò, me lo sento. Chiaramente lo farò con la mia famiglia, dopo aver fatto un giretto in bicicletta. Un brindisi con mia moglie Stefania, i miei figli Arianna (mamma di Gioele e Isaia), Ilaria (mamma di Tommaso) e Davide».
A 70 anni si fanno i bilanci, quale è il suo?
«Buono, io oggi sono un uomo in pace con se stesso».
Cosa fa oggi Tista Baronchelli?
«Ho chiuso il negozio di bici che gestivo con mio fratello Gaetano, ma vado ancora a giocare in officina, mi piace troppo sporcarmi le mani. E poi tanta campagna. In questo ultimo periodo mi piace andare a raccogliere le pannocchie che i contadini lasciano nei campi; è un modo per stare nella natura, muoversi e fare contenti un po` di amici. Sa quante me le chiedono? Vorrebbero anche pagarmele, ma io le regalo, anche se poi loro vogliono sempre sdebitarsi con un pollo, un coniglio o qualche uovo. Tra l`officina e i campi, c`è però anche tanto tempo per Gioele, Isaia e Tommaso, i miei nipotini, che tra non molto saranno quattro. Mi piace troppo fare il nonno? La sa una cosa?».
Quale?
«Avevo un sogno: comprarmi l`Apecar. Adesso che ce l`ho scorrazzo per i campi con i miei tre cuccioli d`uomo, non so se sono più felice io o loro».
Quest`anno sono 70, ma ci sono anche i cinquant`anni dell`accoppiata Giro dilettanti e Tour de l`Avenir, ottenuta nel 1973.
«Sono l`unico corridore dilettante della storia ad aver centrato questa accoppiata. Quell`anno, mi sono sentito quasi come il Cannibale».
A proposito del Cannibale: quei 12" che l`hanno separata da Eddy Merckx pesano ancora?
«Oggi non più. Al Giro del 1974 ho commesso un errore gravissimo: non andare a visionare le Tre Cime di Lavaredo».
Uno con il quale non ha mai legato?
«Moser. Al Giro `86 ero 3° in classifica generale e ad un certo punto me ne sono tornato a casa. Non mi è mai piaciuto il suo modo di fare: lui era il sole e io la luna. Lui prepotente, io riconoscente. Lui spietato, io accomodante. Finché mi sono svegliato e ho tolto il disturbo. L`errore? Accettare di correre nella stessa squadra. Per quel ritiro fui criticato anche da Gimondi. Disse che fu un errore. Aveva ragione».
Oggi con lui le cose vanno meglio?
«Certo. Io non porto rancore e le posso dire che mi piace come Francesco sa gestire la sua vita. In certe cose devo imparare da lui».
Il momento più bello?
«Il secondo Giro di Lombardia vinto all`ombra del Duomo di Milano, quando molti mi consideravano non solo finito, ma un fallito».
Il collega con il quale è rimasto più legato?
«Silvano Contini».
Poi c`è stata la svolta.
«La mia è avvenuta il 4 aprile 2011, quando è morta mia madre. Vivevo in un periodo buio. Ero deluso della mia carriera e della vita. Da quel momento sono rinato. Ho riscoperto la fede. Lì è nato un altro Tista.
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