È l'ultimo dei grandi, un piccolo grande cannibale che ha segnato la storia del ciclismo francese nel mondo. È le blaireau, il tasso, l'uomo che sapeva nascondersi nella pancia del gruppo come nessuno e al momento propizio attaccare con ferocia senza pari. Parliamo di Bernard Hinault.
L'abbiamo incontrato a Misano Adriatico in occasione dell'Italian Bike Festival e delle varie attività targate Emilia Romagna che porterà a giugno del prossimo anno il Tour sulle strade d'Italia (Firenze, 29 giugno). Un incontro con uno dei più grandi corridori di sempre, con i suoi cinque Tour de France all'attivo (1978, 1979, 1981, 1982 e 1985) oltre a tre Giri d'Italia (1980, 1982 e 1985), due Vuelta a España (1978 e 1983) e un campionato del mondo (1980), arricchiti da una Roubaix, due Lombardia, due Liegi, due Frecce e un'Amstel così tanto per gradire.
Felice di essere in Italia?
«Come sempre. Qui da voi mi sento come a casa e sono felice che il prossimo anno la Grande Boucle parta per la prima volta nella storia sulle vostre strade. È stato bello anche provare il tratto finale della prima frazione, con arrivo a Rimini: 205 km e 3.800 mt di dislivello. Sulle salite di San Leo, Montemaggio e San Marino chi vorrà lottare per la maglia gialla dovrà farsi trovare già pronto. Come dice poi giustamente Davide Cassani, faranno già la differenza anche la Cesenatico-Bologna, omaggio al grande Marco Pantani, e la Piacenza-Torino che ci riavvicineranno al confine francese».
Le piace il ciclismo di oggi?
«Tantissimo. Stiamo assistendo a qualcosa di fenomenale con Pogacar, Vingegaard, Roglic, Evenpoel, Van der Poel, Van Aert e Ayuso. È una meraviglia vedere come corre questa generazione».
Il corridore nel quale si rivede?
«Tadej Pogacar corre e vince dalla primavera all'autunno, quest'anno si è imposto al Fiandre, alla Freccia Vallone e all'Amstel Gold Race, è stato protagonista al Tour, al mondiale e lo sarà anche al Lombardia. È meraviglioso vederlo in testa alle corse da inizio a fine stagione. È quello che più assomiglia a me e a Eddy Merckx».
Chi vincerà il Tour 2024?
«Tadej. Quest'anno non ci è riuscito perchè è stato rallentato dall'infortunio al polso rimediato nella caduta alla Liegi: secondo me è il più forte in circolazione».
Cosa pensa del dominio della Jumbo Visma?
«Hanno vinto tutti e tre i Grandi Giri di quest'anno con tre uomini diversi (Roglic, Vingegaard e Kuss): è una super squadra, con tanti soldi e quindi tantissimi ottimi corridori. La differenza la fa il budget, come in passato aveva fatto Sky/Ineos».
Duecentododici successi da professionista, quale le è rimasto di più nel cuore?
«Vincere la maglia iridata a casa mia, a Sallanches, fu memorabile».
La maglia iridata è sulle spalle di Mathieu van der Poel: le piace?
«È il testimonial perfetto, come lo era stato Evenepoel».
A proposito, le piace Remco?
«Nelle corse di un giorno il belga ha dimostrato quanto vale, nelle corse di tre settimane è difficile dire fin dove potrà arrivare. L'anno prossimo sarà per la prima volta al Tour e lì capiremo se può iscrivere il suo nome tra i grandi delle corse a tappe o meno».
Il Tour è la corsa più importante di tutte, cosa ha in più di Giro e Vuelta?
«Il Tour è stato il primo e resta al primo posto in tutto: dalla carovana pubblicitaria al villaggio, per il numero di giornalisti accreditati e la qualità dei corridori, tutti i migliori vogliono esserci. In più si corre a luglio, nel periodo delle vacanze».
Il ciclismo italiano vive un momento di difficoltà.
«Anche noi francesi non abbiamo un nome in grado di lottare alla pari con i big, ma sono cicli. Il Belgio ora ha due/tre ottimi corridori, ma l'ultimo loro connazionale in grado di vincere il Tour è stato Lucien Van Impe nel 1976. Basta avere pazienza e continuare a lavorare come sapete fare».
Cosa si aspetta dalla Grande Partenza del Tour dal nostro Paese?
«Festa. Tanta festa e affetto come solo voi siete in grado di donare.
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