
Una squadra della polizia fa irruzione nella casa dove vive la tranquilla famiglia Miller, due genitori e due figli: fucili d’assalto spianati, ti immagini sia un blitz per un boss mafioso, invece gli agenti chiedono dov’è il figlio dodicenne, Jamie, e quando arrivano in camera sua lo arrestano con l’accusa di omicidio e lo trascinano in centrale. Insomma, su Netflix, ieri ho visto Adolescence, che all’inizio prendi come una delle tante serie crime con al centro un adolescente (colpevole o innocente non ve lo dico, per non spoilerarvi neppure la prima puntata), ma qualcosa di strano e di ipnotico serpeggia dentro lo spettatore senza che se ne accorga, quantomeno nelle prime sequenze. Che non sono sequenze, ma ci arrivo tra poco.
Creata da Stephen Graham (ma tra i produttori c’è anche Brad Pitt), se ne è cominciato a parlare prima che uscisse, e ora già si sprecano le analisi psicologiche e sociologiche sugli adolescenti, sul bullismo, sul cyberbullismo, che sono tutti problemi reali (ma non che non ci fossero prima, in forma diversa), con la novità che sono amplificati dai social, anche per questo è necessario un controllo, una complicità dei genitori diversa che in passato. Educazione rigida o permissiva cambia poco. L’ispettore a capo delle indagini si chiama Luke Bascombe, interpretato da Ashley Walters, Owen Cooper è il ragazzo che interpreta Jamie, accusato di aver accoltellato e ucciso la sua amica la sera precedente, lo stesso Stephen Graham è Eddie, il padre, Christine Tremarco la madre (Eddie), e Amélie Pease la sorella (Lisa).
Nella tragedia, in cui qualsiasi genitore di un figlio adolescente si indentifica immediatamente (quanto conosco davvero mio figlio? Quanto mi dice tutto?) si viene risucchiati senza potersene staccare, con un senso di disagio crescente, dicevo, anche grazie alla tecnica usata dal regista Philip Ballantini: un unico piano sequenza per ognuna delle quattro puntate. Sì, avete capito bene, e è realizzato così bene che ce ne accorgiamo dopo un po’, perché è come se fosssimo lì, in tempo reale, tanto che ti domandi perché complicarsi la vita girando tutto in piano sequenza per una serie, ma ti rendi conto che non è un virtuosismo, è un mezzo narrativo potentissimo usato da Ballantini per immergerti fino al collo e oltre in una sabbia mobile psicologica insieme agli attori.
I quali sono tutti di una bravura impressionante (se non sei bravo non puoi girare una serie in un unico piano sequenza), a iniziare dal piccolo Owen Cooper. Voglio dire: sbagli una battuta o un’espressione dopo trenta minuti dal ciak e devi ricominciare tutto da capo (immagino), non so come abbiano fatto, bisogna chiederlo a Mauro Zingarelli degli Slim Dogs, dove su Youtube hanno proprio un format di grande successo in cui Zingarelli spiega come vengono realizzati i film e le serie.
Quando arrivano i titoli di coda ti resta un senso di angoscia verso ciò che non puoi controllare dei tuoi figli, verso le tue stesse responsabilità di genitore spesso distratto, e la bravura sta anche nel rendere tutto scivoloso e terrificante e con le colpe molto sfaccettate. La donna, perfino tra adolescenti, concepita ancora come un oggetto sessuale, e il cyberbullismo esercitato dal gruppo degli adolescenti maschi su Owen al quale viene dato dell’incel, un individuo “celibe involontario”, uno sfigato insomma, che sviluppa una misoginia perché non in grado di conquistare una donna, e la cultura “tossica” sviluppata dal maschilismo.
Tuttavia “incel” è un termine usato per insultare i maschi adulti anche dalle femministe estreme (ne ho fatto più volte esperienza personale), perché tutti gli estremismi sono tossici, figuriamoci per gli adolescenti che si trovano a assorbirli perfino più
degli adulti. Da vedere, entrando in questo lungo, incredibile piano sequenza nel rapporto tra genitori, figli, maschi, femmine, violenza, sessismo, bullismo, cyberbullismo, senza uscirne facilmente neppure alla fine. Fine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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