Venezia80: “Finalmente l’alba”, il prezzo di un sogno chiamato cinema

Saverio Costanzo torna in concorso al Lido con un film sulla Cinecittà degli Anni 50, sul prezzo del successo e sulle dinamiche paludose che hanno luogo in certi ambienti

Venezia80: “Finalmente l’alba”, il prezzo di un sogno chiamato cinema
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Finalmente l’alba”, presentato stamani alla stampa e da stasera in gara ufficiale a Venezia, segna il ritorno al Lido di Saverio Costanzo a nove anni da “Hungry Hearts”, (ultima sua fatica per il grande schermo prima dell’avventura seriale de “L’amica geniale”).

Il film racconta la Cinecittà degli anni Cinquanta, attraverso la storia di Mimosa (Rebecca Antonaci, scoperta da Costanzo nello spot Barilla diretto da lui due anni fa), una ragazza semplice che, accompagnando la sorella a fare la comparsa sul set di un peplum, si ritrova catapultata per una notte nella mondanità della gente di cinema, al seguito di un gruppo di attori americani. Mimosa ha imparato della vita solo quel che vede su schermo, sogna l’amore e non lo immagina con i connotati del fidanzamento caldeggiatole dai suoi genitori con un poliziotto napoletano. Il punto di svolta in quello che sembra un giorno come tanti, avviene quando la giovane intercetta lo sguardo, in un corridoio, di una stella d’oltreoceano, di quelle da copertina e al terzo divorzio: Josephine Esperanto (Lily James). Salita in auto con lei e con Rufus Priori (Willem Dafoe), un gallerista americano amico di Josephine, vivrà la più improbabile delle avventure. Prima di arrivare a vedere l’alba, farà i conti con molte cose fuori e dentro di lei, scoprendo un po’ come va il mondo e quanto sia disposta ad assecondare le aspettative altrui.

Sarà una ragazza nuova, col vestito da sera da Cappuccetto Rosso in incognito e la certezza che la favola da dentro non sia come la raccontano. La magia, oltre lo schermo, scompare. Il cinema vende il sogno, il dietro le quinte mostra il prezzo del sogno.

Dopo un inizio meta-cinematografico in cui Costanzo si diletta alle prese col neorealismo, “Finalmente l’alba” catapulta lo spettatore nella cronaca dell’epoca con l’eco dell’omicidio della giovanissima Wilma Montesi, primo caso di assassinio con grande copertura (ma anche speculazione) mediatica.

La panoramica è quella di un ambiente lussuoso ma moralmente paludoso, pieno di potenziali vittime e carnefici. Ognuno è in certi giri per interesse o per noia, di sicuro per esistere in quello che ritiene sia un luogo appetibile, riservato a chi all’occhio del popolo ce l’ha fatta.

Siamo in un “La Grande Bellezza” ambientato all’epoca della cosiddetta “Hollywood sul Tevere”.

“Finalmente l’alba” mostra come il principe azzurro migliore su certe piazze sia pur sempre un cocainomane, come imparare certi trucchetti serva e come sia indispensabile aguzzare la vista per comprendere chi sia il lupo e chi un Virgilio pronto a condurre fuori da un inferno venduto come paradiso.

Qui ci sono figure di potere variamente assortite e la loro corte, fatta di faccendieri e cialtroni. Quasi tutti, per restare interessanti, dissimulano la propria vera natura; si dipingono con caratteristiche sempre nuove, esotismi artificiosi con cui mentire per primi a se stessi. Perché si può uscire da un set ma la recita, a questi livelli, continua anche nella vita e ha termine solo quando si è da soli di fronte allo specchio. Lì ci si confronta con la strada presa e con quanto di guadagnato e quanto di perso (magari fosse solo in termini economici).

Mimosa invece è autentica, il che la rende piena di grazia e quindi appetibile. Tutti vorrebbero toccarla, possederla in qualche modo, per credere ancora nell’esistenza di qualcosa che non hanno mai avuto o hanno perso da tempo immemore: l’innocenza.

Del resto che non ci sia bellezza superiore a quella che coincide con il vero e il buono è un concetto di matrice platonica e sempreverde.

Tra falsi sorrisi e amicizie estemporanee, tanto fortuite quanto interessate, “Finalmente l’alba” racconta se e quanta purezza resti in chi sembra addentro al sistema e quanto si possa sporcare chi da innocente lo approccia da fuori.

La diva e Mimosa nel film sono figure non del tutto speculari in questo senso, perché la prima ha soffocato la propria poesia interiore, la seconda la custodisce.

Il finale

mostra come la consapevolezza sia la chiave di volta con cui è possibile restare integri eppure possedere il mondo, dominare la paura e avanzare quieti.

Senz'altro un film notevole. In sala dal 14 Dicembre.

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