Colpevoli o innocenti? Indagini e milioni buttati per non avere risposte

La verità? Giustiziata dai tribunali. Da Sarah Scazzi a Melania Rea: una serie di indagini senza fine, sentenze ribaltate e milioni buttati. Senza neppure una certezza

Colpevoli o innocenti? 
Indagini e milioni buttati 
per non avere risposte

Rigorosa con i suoi tempi e con le sue abitudini, la giustizia italiana sta prodigandosi per allontanare un’altra verità che il popolo sovrano attende ansioso: accogliendo la richiesta dei difensori, poi sposata dal procuratore, la Cassazione deve decidere se spostare il processo “Sarah“ da Taranto a Potenza. Il caso è clamoroso, più unico che raro. I motivi? In Puglia, ormai, non è aria: si parla di condizioni ambientali impossibili, di pressioni mediatiche pazzesche, tutto un contesto colpevolista che non garantirebbe alla cugina Sabrina e a sua madre Cosima un sereno verdetto sull’omicidio della povera bambina.

Riconosciamolo: qualunque cosa decidano i tribunali, nessuno riesce più a stupirsi. E magari pure a indignarsi. Siamo assuefatti a questo clima di sbando e di confusione. Ormai nelle nostre aule fanno giurisprudenza le nebbie e le paludi, l’effimero e l’indeterminato. A memoria d’uomo, nessuno ricorda più l’ultima volta in cui, sollevati e soddisfatti, abbiamo assaporato il gusto di pronunciare la fatidica frase: sì, giustizia è fatta. Da troppo tempo va di moda un altro motto, rovinoso e malsano: anche stavolta giustizia è sfatta.
Ma allora, sono colpevoli o sono innocenti? Questa è la domanda che ci rimpalliamo dall’apertura delle indagini, com’è giusto e com’è normale, fino alla fine dell’ultima udienza, come invece non è per niente normale. Nessuna certezza, mai. Nemmeno dopo il famoso terzo grado di giudizio. Anni di udienze, di interrogatori, di testimonianze e di perizie, poi chiudiamo il processo così come l’avevamo aperto: con la fondata sensazione che qualcosa sfugga, che qualcosa non sia risolto, che qualcosa ancora ci separi dalla vera verità.

Pochi giorni fa, persino il presidente della Corte d’assise d’appello di Perugia, che ha rimandato a casa liberi e belli Amanda&Raffaele, non ha esitato a confermare la sgradevole sensazione: «La verità processuale è una, soltanto chi c’era quella sera conosce la verità sostanziale». Non è una frase così clamorosa, perchè sempre la verità dei processi è una verità soltanto logica e verosimile, non certa, ma in questo clima contribuisce ad alimentare il senso di confusione e di incertezza. Tutto si potrà dire, ma ripensando alla povera Meredith nessuno può sentirsi di dire che almeno in questo caso, almeno stavolta, giustizia è fatta. Siamo arrivati alla fine e ci accorgiamo che bisognerebbe ricominciare tutto da capo. Giustizia da rifare.

Non è disfattismo, non è ragionare per luoghi comuni. É un sentire diffuso, con una sfilza di casi che va facendosi decisamente inquietante. Coincidenza incredibile: è una lista tutta declinata al femminile. Oltre a Sarah, oltre a Meredith, giustizia non è fatta per Chiara Poggi, per la piccola Yara, per Melania Rea. Interminabili indagini, quintali di carta, milioni di euro per arrivare alla verità. Alla fine, però, prevalgono sempre e immancabilmente il cavillo, l’eccezione, il ricorso.

Certo può succedere, in qualche caso.

Succede da sempre, ovunque. Ma quando diventa la regola, il segnale è triste. Alla fine di queste maratone caotiche e picaresche, ormai gli italiani possono permettersi soltanto una penosa dichiarazione: giustizia è matta.

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