Il commento Caso imbarazzante, ma quanta fretta a Palazzo

di Carlo Maria LomartireCome per tutte le storie di questo tipo, a commentare la vicenda Massari si corre il rischio di sbagliare comunque: se dai l’impressione di stare dalla parte del (presunto) molestatore sei un maiale maschilista; se ti schieri con le «vittime» ecco che sei il solito «femministo» con pregiudizi politicamente corretti. Tuttavia, da come si è messa la vicenda, anche in questo caso pare che - come troppo spesso accade dalle nostre parti - l’onere della prova spetti alla difesa e non all’accusa: ci sono, cioè, delle lettere che accusano Massari, il quale deve dimostrare la propria innocenza. Non è per fare i garantisti a basso costo - anche perché in questa storia una denuncia penale non c’è, e questa pure è una stranezza - ma è ovvio che prima di condannare anche solo eticamente e politicamente Massari, bisognerebbe avere qualche elemento più concreto.
Se poi è vero che il «molestatore» (compulsivo e seriale: più di una «vittima» durante una cena in piedi alla presenza di un centinaio di persone) non ha neppure potuto leggere le lettere che lo accusano e quindi non sa in quali termini esattamente replicare, be’ mi pare che il ricorso a un certo garantismo minimo sia lecito. Anche perché continuando a ragionare sui «si dice» e «a quanto pare», su «voci di corridoio» e «secondo indiscrezioni» inevitabilmente proliferano illazioni, ipotesi e accuse farlocche.
E siamo alla questione politica. Massari dice di essersi dimesso «per rispetto delle istituzioni» e che appena la questione sarà chiarita il sindaco gli restituirà le deleghe. Non ci crede nessuno: le sue dimissioni da assessore all’Ambiente non sono state «spontanee» ma chieste con forza dalla Moratti, la quale, con tutta probabilità, non ha alcuna intenzione di riprenderselo in giunta. Intanto il Pd milanese, sempre più «dipietrizzato», per non fare torto a nessuno ha già processato e condannato sia Massari sia il sindaco. E poi si chiedono come mai a Milano i loro consensi sono al minimo storico.
Resta il fatto che dimissionare un assessore sulla base delle accuse formulate con un paio di lettere sembra quanto meno precipitoso. Il sindaco sa qualcosa di più? Ha elementi accusatori più solidi? E allora sarebbe opportuno che, per prima cosa, li contestasse a Massari per permettergli di difendersi, ma sarebbe anche il caso di informarne il Consiglio comunale e l’opinione pubblica milanese, se non altro per fugare il sospetto di una defenestrazione frettolosa. Magari per altre ragioni. Sappiamo quanto Letizia Moratti tenga alle relazioni internazionali e possiamo immaginare quanto l’abbia irritata la telefonata con cui l’ambasciatore norvegese denunciava le molestie alla sua dipendente. Ma, chiediamo, se il diplomatico scandinavo legittimamente crede a occhi chiusa alla sua funzionaria, se si accetta la versione di un’impiegata a tempo determinato del Comune in attesa di rinnovo del contratto, perché il sindaco non ripone altrettanta fiducia, almeno formalmente, nel suo assessore? La freddezza tagliente con la quale Massari è stato di fatto liquidato non a tutti è piaciuta. Sarebbe stato più elegante manifestare nei confronti di uno stretto collaboratore da poco chiamato in giunta, quella famosa «piena fiducia» sempre tirata in ballo in questi casi, almeno «fino a prova contraria». E invece niente.


Intanto a bordo campo si scalda il predecessore di Massari all’Ambiente, quell’Edoardo Croci che piace tanto alla sinistra, al punto che si chiedono perché mai la Moratti lo mise nella sua lista elettorale per poi chiamarlo in giunta. E infatti se qualcosa non perdoneremmo mai a Massari è aver provocato un «Croci 2 la vendetta». Allora saremmo noi a chiedergli i danni.

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