È l’ora della TINA.
Lo è per Tremonti, il governo e gli italiani. Non si tratta, tranquillizziamo subito il lettore, di un altro scandalo a luci rosse, né della sorella, della moglie o della zia di qualche costruttore edile. Era lo slogan della Lady di ferro, Margaret Thatcher: «There Is No Alternative», non c’è alternativa. È ciò che il primo ministro britannico si trovò a dover dire quando dovette far dimagrire la macchina statale per ridurre i debiti e far ripartire l’economia dell’ex impero inglese che, al tempo, non attraversava buone acque. Anni più tardi il leader laburista Tony Blair dovette riconoscere che molte delle riforme che aveva potuto portare a compimento erano state possibili grazie ai conti pubblici messi in ordine dalla Thatcher. Ma c’era voluta TINA.
Lo stesso vale per il governo Berlusconi oggi in Italia e per il suo ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Tanto per intendersi, quando il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, è andato a Bruxelles dal vicecommissario europeo Viviane Reading per discutere dell’età della pensione delle donne che lavorano nel settore pubblico, in realtà non ha discusso un bel nulla ma rassicurato la Reading che entro il 2012, anche in Italia, quelle donne sarebbero andate in pensione a 65 anni. TINA ha detto la Reading, senza saperlo, a Sacconi il quale, tornato in Italia, lo ha ripetuto ai colleghi di governo, ai sindacati, alle donne che lavorano nel pubblico, alle associazioni di categoria, agli imprenditori e a tutti gli italiani.
Per la riduzione della spesa pubblica la situazione è esattamente la stessa. Non ci sono più alternative. Almeno che non si voglia far fallire l’Italia e tutti gli italiani insieme a lei. Si può decidere dove, non se tagliare o no. I saldi della manovra devono essere rispettati. Meglio ancora, come ha detto lo stesso Tremonti: non si toccano i saldi e neanche i soldi.
A sinistra gridano allo scandalo, all’iniquità e all’ingiustizia. Epifani ha portato in piazza la gente a manifestare contro la manovra. TINA, da quelle parti, non sanno neanche che è, e non lo sanno perché - di fatto - un’alternativa a oggi non l’hanno offerta. Sostiene che bisognerebbe tagliare altrove ma non si preoccupa di controllare se, tagliando altre voci del bilancio, si raggiungerebbero - e subito - le cifre richieste dall’Europa che se non sbaglio ci ha elogiato a più riprese.
Ma a parte Epifani ci sono cittadini che, legittimamente, si chiedono perché si debba dar retta all’Europa. Perché non abbiamo più alternative. Perché, in un certo senso, siamo in una via a senso unico. La risposta è semplice: perché l’economia di mercato, la nostra, non funziona se lo Stato ha troppo debito pubblico che può far perdere credibilità al nostro Paese (l’ultima asta di Bot è andata bene quindi in molti ci credono ancora) e sul quale si pagano un oceano di interessi (quattrini) ogni anno. Questa debolezza non può essere sopportata da un Paese che vuole stare ai primi posti nel mondo come il nostro.
Naturalmente quando si taglia c’è sempre qualcosa di non tagliabile, ogni ministro fa il diavolo a quattro perché non si tagli sul suo. Ma oggi non siamo più nella situazione dove ci sono alternative al disastro e dove tutto questo sia rinviabile.
Se non si taglia la spesa pubblica si taglia il ramo dove siamo seduti tutti. E sotto non ci sono reti di protezione, le terga raggiungerebbero direttamente il terreno.
Che TINA ci protegga.
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