Sono stati per un paio di giorni le star, in negativo, di tutti i telegiornali e i siti internet. I modelli, emblematici, della cattiva politica, che si procura voti dando in cambio denaro, promesse di lavoro o pacchi di pasta. E invece, dal gip, è arrivato il contrordine: quei politici siciliani finiti in manette nell'operazione «Agorà» non dovevano essere arrestati. Ergo i due deputati in carica, Nino Dina, presidente della Commissione bilancio del Parlamento siciliano e Roberto Clemente, l'ex deputato regionale Franco Mineo, e persino il consigliere comunale mancato Giuseppe Bevilacqua, uno dei personaggi centrali dell'inchiesta basata su una valanga di intercettazioni, sono di nuovo in libertà.
Ha tutta l'aria di uno dei paradossi della giustizia italiana questa storia in salsa siciliana di voti comprati per una manciata di spiccioli (secondo l'accusa cinque euro a preferenza) o peggio ancora distribuendo pacchi di pasta e alimenti inizialmente destinati alle mense per i poveri.
Alla base della revoca degli arresti domiciliari disposta dallo stesso gip che aveva detto sì agli arresti, un errore nella contestazione del reato: non doveva essere infatti contestata la corruzione elettorale normata dalla legge nazionale del '57, che prevede la reclusione sino a quattro anni, ma quella ben più benevola regolata da una legge regionale del '70, che fissa un tetto di pena massimo di tre anni. Proprio questa eccezione, sollevata dal legale di uno degli indagati, è stata accolta dal giudice, che dunque l'ha accolta estendendola agli altri indagati. Morale: arresti domiciliari revocati e tutti in libertà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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