
La malattia di Crohn è una delle principali malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici), una condizione debilitante che colpisce circa 100mila persone in Italia, di cui 17mila solo in Lombardia. Una patologia che esordisce, soprattutto, in età giovanile, tra i 15 e i 40 anni, sebbene possa manifestarsi a qualunque età. Si tratta di una malattia complessa e caratterizzata da infiammazione cronica del tratto gastrointestinale, con sintomi quali dolore addominale, diarrea cronica e urgenza evacuativa, che impattano fortemente sulla qualità della vita. L'incidenza della malattia di Crohn è in crescita, con circa 900 nuove diagnosi ogni anno nella regione. Nell'area di Milano la metà dei pazienti ha meno di 44 anni.
«Se non adeguatamente controllata, la malattia può portare a complicanze gravi che richiedono ospedalizzazioni e interventi chirurgici -spiega il professor Alessandro Armuzzi, Responsabile Uo Ibd all'Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e Professore Ordinario di Gastroenterologia presso Humanitas University-. Molti pazienti si rassegnano a una qualità della vita ridotta, compromessa da sintomi debilitanti, come l'urgenza evacuativa, che impattano sul loro benessere psicologico, sulla socialità e sulla vita lavorativa».
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fatto passi in avanti nello sviluppo di trattamenti mirati che possano migliorare la gestione della malattia. L'attenzione si è spostata su terapie che agiscono su specifici meccanismi dell'infiammazione, come gli inibitori dell'interleuchina-23 (IL-23), una citochina chiave nella progressione della patologia. Tra questi, mirikizumab, già impiegato per il trattamento della colite ulcerosa, rappresenta una delle più recenti innovazioni terapeutiche, da poco approvato dalla Commissione Europea (Ce). Si tratta di un anticorpo monoclonale che inibisce selettivamente la subunità p19 dell'IL-23, impedendo così la cascata infiammatoria che caratterizza la malattia di Crohn.
L'approvazione da parte della Ce, che fa seguito al parere positivo del Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea per i medicinali (Ema), nel dicembre 2024, si basa principalmente sui risultati dello studio di fase 3 VIVID-1 che ha dimostrato che il farmaco non solo induce la remissione clinica in una quota significativa di pazienti (54,1% vs 19,6% di pazienti trattati con placebo), ma favorisce anche la guarigione endoscopica visibile del rivestimento intestinale (48,4% vs 9% di pazienti trattati con placebo), parametro fondamentale per la gestione a lungo termine della patologia. «È necessario agire con trattamenti target che possano rappresentare una svolta nella gestione della malattia e della sintomatologia», sottolinea Armuzzi. «Con mirikizumab, abbiamo un ulteriore strumento, con un ottimo profilo di sicurezza ed efficacia, per aiutare i nostri pazienti a raggiungere la remissione a lungo termine, nonostante precedenti fallimenti terapeutici».
L'estensione dell'indicazione di mirikizumab per la malattia di Crohn, dopo l'approvazione in Europa e in Italia per il trattamento della colite ulcerosa da moderata a grave nei pazienti adulti, è un passo in avanti nel percorso di Lilly al fianco delle persone che vivono con malattie infiammatorie croniche intestinali.
«Il nostro impegno è quello di offrire soluzioni terapeutiche innovative e sicure, collaborando con la comunità scientifica per rispondere ai bisogni insoddisfatti di chi convive con questa patologia - conclude Elias Khalil, presidente e amministratore delegato Italy Hub di Lilly -. Siamo convinti che mirikizumab possa contribuire in modo significativo alla gestione della malattia di Crohn e al miglioramento del benessere generale dei pazienti».
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