Contrordine Ds sull’articolo 49 della Costituzione

Paolo Armaroli

Cesare Salvi e Massimo Villone non sono dei Pinco Palla qualsiasi. Sono professori universitari di Diritto civile l’uno e di Diritto costituzionale l’altro. Inoltre sono senatori diessini di lungo corso. Salvi è stato relatore sulla forma di governo ai tempi della commissione Bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da Massimo D’Alema. E in tale veste perorò quel premierato che oggi va di traverso agli uomini dell’Unione per il semplice fatto che è stato ripescato, per di più in forma edulcorata, dal governo Berlusconi e dalla maggioranza di centrodestra. Mentre Villone è stato presidente della commissione Affari costituzionali del Senato negli anni in cui il centrosinistra come Saturno divorava i propri presidenti del Consiglio uno dopo l’altro. Orbene, questa premiata coppia ha avuto una bella pensata. Per la serie «non è mai troppo tardi», ha presentato in zona Cesarini un disegno di legge sul tema spinoso della democrazia interna dei partiti. Si propongono di «rinnovare, rendere più democratici e trasparenti, e quindi più forti, i partiti». Dato il loro carattere oligarchico, è più che mai «necessario e urgente dare finalmente attuazione all’articolo 49 della Costituzione». Che recita: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
La premiata coppia scopre dapprima l’America osservando che il soggetto della predetta disposizione normativa sono i cittadini e non i partiti. E poi rileva che «è da lì che occorre ricominciare: dal diritto dei cittadini a partecipare alla politica attraverso i partiti. E quindi dai diritti degli iscritti. E dal “metodo democratico” che deve caratterizzare la vita dei partiti». Perciò occorre attribuire al partito la forma dell’associazione riconosciuta con personalità giuridica, garantire agli iscritti la loro effettiva partecipazione alle decisioni, un’anagrafe degli iscritti verificata e certificata, un giudice che assicuri l’applicazione della regola statutaria violata, un finanziamento pubblico al partito condizionato all’adozione del nuovo regime giuridico. Nulla di nuovo sotto il sole. All’Assemblea costituente non mancarono le voci favorevoli a dare spessore a quel «metodo democratico» del quale parla l’articolo 49 della Costituzione. Il dc Mortati presentò un emendamento del seguente tenore: «Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale». Mentre il liberale Bellavista ne presentò un altro: «Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano di mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari». Alla fine però ad averla vinta fu Togliatti: «Domani potrebbe svilupparsi un movimento nuovo, anarchico, per esempio. Io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee.

Ora non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinunzia al metodo democratico». Allora Togliatti non voleva controlli di sorta perché aveva una coda di paglia lunga così. Sessant’anni dopo, c’è chi sale in cattedra e dà il solito «contrordine, compagni».
paoloarmaroli@tin.it

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