
Curzio Malaparte (1898-1957), anche per merito del titolo di un saggio di Giordano Bruno Guerri, è ricordato come l'«arcitaliano». E in effetti Malaparte ha attraversato tutte le crisi e lisi della prima metà del Novecento, spinto da entusiasmi e fascinazioni che gli hanno fatto toccare tutte le sfumature dell'italianità. A partire dalla politica. Infatti Malaparte è stato: interventista, massone, fascista della prima ora, ribelle al regime e spedito al confino (lo salvò l'amico Ciano), cobelligerante antifascista nell'esercito del Regno del Sud, anticomunista, giornalista reclutato da Palmiro Togliatti con la tessera del Pci e contemporaneamente del partito Repubblicano, grande estimatore di Mao ma antistalinista e osteggiato da molti intellettuali organici al Pci...
Potremmo continuare a lungo ma anche la morte di Malaparte ha un che di arcitaliano. Perché spesso gli italiani sono dei mangiapreti ma in articulo mortis la situazione cambia.
Nel 1958 Curzio Malaparte si ritrovò malato di tumore in un letto della clinica Sanatrix di Roma e molto mal messo economicamente. In quei mesi di malattia, dopo essere stato agnostico e anticlericale tutta la vita (pur subendo il fascino di figure religiose), si avvicinò al cattolicesimo. Una situazione non così dissimile da quella di cui si è sempre vociferato per Antonio Gramsci. Quanto si avvicinò? Difficile dirlo. Ci sono state già all'epoca testimonianze molto contrastanti. C'è chi l'ha considerato un atto forzato o di facciata. Alcuni come lo scrittore Enrico Falqui ricordarono in seguito come la sua stanza fosse adornata da un gran numero di immagini riferibili a molte religioni diverse. Con certezza, ad assisterlo negli ultimi istanti, il 19 luglio del 1957, fu padre Virginio Rotondi. Secondo altre testimonianze gli era stato somministrato il battesimo già nel giugno dello stesso anno dal gesuita e teologo padre Cappello.
Ieri però di questa complessa vicenda è comparsa una nuova testimonianza. È di una delle suore che lo accudiva, Giuditta Rolleri, superiora della comunità. La religiosa scrisse una lettera al senatore democristiano Guido Bisori per ringraziarlo «del bellissimo e storico discorso» che il politico pratese, in quel momento sottosegretario all'Interno, aveva tenuto per commemorare Malaparte. Nella lettera suor Giuditta parla della «bella, grande vittoria che la Madonna Santissima ci ha concesso a gloria di Dio e della Chiesa ed a bene delle anime, dandoci una conversione così completa e spassionata del caro Malaparte».
Questa testimonianza, fino a oggi inedita, è stata resa nota grazie alla donazione compiuta da Maria Bisori, figlia del senatore, alla Biblioteca Roncioniana di Prato, e di cui ha dato notizia il settimanale ToscanaOggi. Lo scorso 25 febbraio tre lettere dell'Archivio personale Bisori sono state consegnate nelle mani del bibliotecario, il canonico Marco Pratesi. Si tratta di due missive inviate da Curzio Malaparte a Guido Bisori e della lettera della suora datata «Roma, 24 settembre 1957», pochi mesi dopo la morte di Malaparte. Suor Giuditta Rolleri, rivolgendosi al senatore Bisori, scriveva tra l'altro che Malaparte aveva «lasciato in noi il più caro ricordo. Era una di quelle anime che quando danno, danno tutto, e veramente, all'ultimo era proprio tutto di Dio. Come prima abbiamo tanto pregato, ora tanto ringraziamo il Cielo, dove Lui felice finalmente in Dio, certamente Lo ringrazia con noi e per noi Lo prega».
Abbiamo chiesto un parere sulla lettera alla professoressa Carla Maria Giacobbe, curatrice dell'Archivio Malaparte della Fondazione Biblioteca di via Senato. Ci ha risposto: «Una conversione è un fatto così intimo che resterà sempre un azzardo darla per vera o simulata, già Padre Rotondi aveva annunciato pubblicamente la sua vittoria nella salvezza dell'anima malapartiana, il cui atto di fede avrebbe raccolto in punto di morte. Malaparte ha spesso manifestato sentimenti anticlericali, ma si è anche dichiarato un cristiano senza confessione in una lettera aperta mandata al Papa negli anni della Pelle (1949), e tra Il ballo al Kremlino (scritto dal '47 in poi e lasciato incompleto) e il film Il Cristo proibito (1951) unito ad altre bozze inedite e incomplete molto vicine al tema, le sue riflessioni sul cristianesimo a partire dai primi anni '50 si facevano di sicuro più fitte, così come una qualche forma di sentire religioso. In questo duello che si è tenuto nei suoi ultimi giorni nella stanza n. 32, potrebbe senz'altro aver vinto il cattolicesimo, ma non so se potremo mai averne certezza».
Lapidaria la risposta sul tema di Giordano Bruno Guerri che della conversione non è mai stato convinto e non lo è ora: «L'opinione di una suora? Non mi sembra ci sia altro...».
Sul tema, che probabilmente resterà dibattuto, come lo è sempre stato, la donazione non fornisce altro e il mistero dell'Arcitaliano, che non amava svelarsi, persiste tale. Però ci sono anche due lettere di Malaparte del 1954 e del 1956 rivolte al Senatore Bissori che arricchiscono la conoscenza dei rapporti tra Malaparte e il politico democristiano.
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manaracodevilla
15 Mar - 14:55
E' una bella notizia. Ho sempre ammirato Malaparte, soprattutto quello di " Kaputt", e sono felice, da credente, che sia morto così. Tutto il resto non conta.

