Il rullare di tamburi sindacali, anche delle organizzazioni riformiste, fa intendere come i prossimi giorni non saranno privi di tensioni. La Confindustria ha tenuto sulla vicenda una linea ragionevole e dialoga con lo sforzo riformista del governo, anche se un grande ispiratore dei vertici di viale dell’Astronomia (nonché uomo delle banche tra gli imprenditori), come Luigi Abete, va in giro a dire che non bisogna stare «né con Sacconi né con la Camusso ». Posizioni simili possono preparare sbandamenti al momento imprevedibili.
Per guidare, quindi, uno sbocco positivo della strada intrapresa bisogna innanzi tutto capire che cosa è avvenuto e può avvenire. È avvenuto che l’attacco all’euro determinato dagli eccessi di liquidità non assorbiti dalla mancata ripresa americana, partito con la crisi greca e aggravatosi per le difficoltà a prendere rapide decisioni di una leadership europea troppo ristretta a Parigi e Berlino, ha scaricato parte delle difficoltà su un Paese come il nostro, esposto per lo storico disavanzo di bilancio.
L’improvvisa super esposizione, scaricandosi sui titoli di Stato, ha richiesto di accelerare strategie pensate su tempi più lunghi (rientro nel pareggio di bilancio, taglio dei costi della politica, nuovo fisco legato alla riforma federalista): il tutto accelerato dall’urgenza perché i vari soggetti europei per intervenire a sostegno dei nostri titoli di Stato chiedono mosse immediate sul piano delle riforme.
Questo è il nodo affrontato dalla lettera «europea» di Silvio Berlusconi accettata nella sua impostazione di fondo. Anche perché interveniva su un tema come quello di alcune rigidità del mercato del lavoro da tempo denunciato pure da economisti schierati a sinistra, da Pietro Ichino a Tito Boeri.
Non si tratta, come ha spiegato Maurizio Sacconi, di dare più libertà di licenziare ma di consentire di avere più libertà di assumere e di aiutare a superare, almeno parzialmente, le divisioni tra lavoratori inquadrati dai vecchi accordi e i giovani sottoposti a forme di occupazione con insufficienti garanzie.
Si tratta ora di discutere sulle forme precise in cui tradurre la linea assunta dal governo in accordo con le autorità europee, ma con la consapevolezza che non vi sono margini per modificare la logica di fondo dell’intesa raggiunta: superare una rigidità troppo estesa del sistema Italia. Quelli che, invece di questa via, propongono patrimoniali e tasse a tutto gas (come nel 1992 fece Giuliano Amato con conti correnti o minimum tax) non risolvono il quesito della Bce sul come rendere più competitiva l’economia italiana anzi l’appesantirebbero con nuova fiscalità.
Se venisse bocciata la linea definita da Berlusconi non solo non ci sarebbe spazio per interventi di superamento delle forme meno stabili del lavoro giovanile (cosa di cui alcuni cinici sindacalisti paiono non occuparsi) ma l’unica alternativa, col governo di unità nazionale da taluni auspicato, sarebbe quella indicata da Pier Ferdinando Casini: un intervento urgente sulle pensioni di anzianità, intervento in sé ingiusto perché su questo piano le riforme già impostate hanno creato equilibri più avanzati di molti raggiunti in altri Stati europei, ma inevitabile per dare dinamicità all’economia nazionale.
Se la situazione precipitasse, come succederebbe aggiungendo la crisi politica a quella economica, i lavoratori non hanno che da prendere
atto di che ha cosa ha fatto il governo socialista greco con tagli a stipendi e pensioni. Questa è la situazione concreta a cui nessun governo «tecnico» potrebbe sfuggire ed è bene che tutti la esaminino a occhi aperti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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