
In Fumo e ceneri (Einaudi, pagg. 396, euro 22) Amitav Ghosh ci riporta nella sua Calcutta, e anche a Canton, a Bombay, a Singapore, a Hong Kong per parlare di una pianta dal fiore esile, eppure incredibilmente potente: l'oppio. Ed è attraverso la lente dell'oppio e delle sue «storie nascoste» che lo scrittore indiano rilegge la storia degli ultimi trecento anni, dal punto di vista del rapporto fra Oriente e Occidente. Una rivalità che vediamo plasmare il mondo ancora oggi e che anche oggi non è aliena dalla diffusione degli stupefacenti, visto che gran parte del fentanyl, la droga al centro di un'emergenza negli Stati Uniti, è prodotta in Cina.
Amitav Ghosh, perché il papavero da oppio è una pianta così potente?
«Il papavero da oppio coesiste con noi da migliaia di anni e, quindi, conosce i nostri bisogni e le nostre debolezze. E si è evoluto per soddisfarli... Siamo deboli e fragili e, soprattutto, proviamo dolore. E non esiste rimedio migliore per il dolore - fisico, psicologico o emotivo - dell'oppio. Ancora oggi. Ecco perché l'oppio è una sostanza incredibilmente potente».
Lei però dice che l'oppio è un «agente storico».
«Lo diventa, perché interagisce con gli esseri umani in modi specifici, producendo schemi che si ripetono. Un esempio sono la Cina dell'Ottocento e gli Stati Uniti di oggi. A causa della dipendenza da oppio, la Cina ha attraversato una crisi sociale e politica che ha condotto a una guerra civile devastante: le classi sociali, la politica e le istituzioni sono state distrutte. Allo stesso modo, dagli anni '90, vediamo gli identici meccanismi operare negli Usa, dove si è sviluppata una enorme dipendenza dall'oppio, che si è addirittura intensificata».
Con quali conseguenze?
«La crisi riguarda soprattutto le parti più povere dell'America, quelle già colpite duramente dalla deindustrializzazione: la cosiddetta Rust Belt, Pennsylvania, West Virginia, Ohio, Tennessee. A ciò si accompagna il crollo di fiducia nelle istituzioni, come le forze dell'ordine, e nelle autorità mediche. Farmacisti, dottori e infermieri godevano di grande fiducia da parte dei cittadini, ma sono stati proprio loro a dare gli oppioidi alle persone. E poi crollo di fiducia nelle regolamentazioni statali, perché tutte queste medicine erano state certificate dalla Food & Drug Administration. Quello che è successo alla società americana lo abbiamo visto durante il Covid, quando le persone si sono rifiutate di credere alle direttive governative».
Spiega che fra Cina e Occidente si è combattuto attraverso le merci, più che con le armi. Anche oggi è così?
«L'oppio è stata un'arma usata da molti stati europei in Asia. Nel caso della Cina è particolarmente importante perché la Gran Bretagna voleva evitare una guerra con Pechino, poiché dipendeva dalle esportazioni cinesi di tè, e il tè era una componente fondamentale dell'economia britannica».
E poi?
«Alla fine, con la prima guerra dell'oppio, nel 1841- 42, la Cina subì una terribile sconfitta da parte della Gran Bretagna. E fu costretta a smettere di sorvegliare il contrabbando di oppio e ad aprire altri porti, così che gli inglesi potessero espandere le esportazioni. La città di Canton, il cui vero nome è Guangzhou, fu assediata e dovette pagare l'equivalente di miliardi di oggi in riparazione... In pratica la Cina si è dovuta scusare per avere cercato di fermare la droga nel proprio Paese».
Questa rivalità perdura?
«Sì, assolutamente. Per secoli, Cina e India si sono spartite metà del commercio mondiale: erano i centri di produzione di tessuti, porcellane, tè, spezie e molti altri beni. Per esempio, nell'Ottocento, sulla costa Est degli Usa la maggior parte degli oggetti nelle case era cinese».
Di quali oggetti parliamo?
«Mobili, porcellane, perfino ritratti. E poi fiori e giardini: anche per la realizzazione dei giardini dobbiamo molto alla Cina. Perciò l'Occidente è sempre stato in competizione con Pechino, ma è solo nell'Ottocento che questa rivalità è degenerata. E oggi osserviamo lo stesso processo, perché gli Usa si sentono minacciati dalla produttività e dalla tecnologia cinesi».
Facciamo un passo indietro e parliamo di un'altra merce, il tè: perché era così importante per gli inglesi?
«L'importazione del tè in Gran Bretagna era monopolio della Compagnia delle Indie Orientali: le tasse arrivavano quasi al cento per cento e rappresentavano un guadagno immenso per il Regno. Dopo la terra, i dazi sul tè erano la fonte più importante per le casse statali. Insomma, la rivoluzione industriale è stata una svolta, ma il capitale veniva da questa pianta prodotta in Asia... E qualcosa di simile è avvenuto negli Usa».
Di che si tratta?
«Molti dei pionieri del capitalismo americano avevano guadagnato i loro soldi a Canton dove, da giovani, avevano commerciato l'oppio, per poi tornare in patria e investire quei soldi nelle nuove industrie come le ferrovie, le banche e le assicurazioni. Infatti negli Usa esistono solo cinque città di nome London e trenta chiamate Canton».
Ma perché gli inglesi vendevano l'oppio ai cinesi?
«Gli inglesi importavano il tè dai cinesi, che ne erano gli unici produttori, ma i cinesi non volevano beni inglesi... Il fatto è che non avevano bisogno di nulla: facevano tutto meglio. E insistevano per essere pagati in argento. Ma a metà Settecento l'argento cominciò a scarseggiare e la Compagnia delle Indie aveva difficoltà a pagare il tè; così si decise di trovare una merce da esportare in Cina».
E scelsero l'oppio?
«Avevano visto quanto fatto dai Paesi Bassi nelle Indie olandesi e seguirono lo stesso modello. Così iniziarono a far produrre quantità enormi di oppio in India e a smerciarlo in Cina. Per loro era un problema di bilancia dei pagamenti».
Scrive che l'Impero britannico è stato «il primo cartello» della storia.
«Storicamente, dall'oppio arrivava gran parte dei guadagni dell'Impero: senza droga, gli inglesi non sarebbero potuti andare avanti in India, esattamente come i francesi in Indocina e gli olandesi nelle Indie olandesi».
Oggi il tè è considerato tipicamente indiano, ma in realtà la sua origine è cinese?
«Agli indiani il tè non
piaceva. Solo dopo il 1940 si è diffuso il consumo di tè, grazie a una campagna pubblicitaria massiccia... Ma in realtà era stata la Gran Bretagna a dare avvio alla produzione di tè in India, per distruggere l'economia cinese».
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