«Come tutte le idee, anche questa mi è piovuta dal cielo. Un giorno volavo verso la Turchia per le riprese di Medea allorché, pensando proprio alla prima parte corale della tragedia, mi posi l'interrogativo: perché non dare allo schermo un racconto anch'esso corale, ma in chiave diversa, e cioè allegro, felice, solare, laico? Subito mi affezionai a quest'idea, nata al di fuori di ogni ragione logica, perché compresi che rispondeva a una mia reazione istintiva, che ero spinto da un impulso interiore ad un colpo di timone, dopo che con Teorema, Porcile e Medea avevo portato al limite la mia ispirazione in quella direzione. Forse istintivamente desideravo fare ora un film diverso, che in qualche modo mi ricollegava a taluni elementi della mia prima maniera. Ma soprattutto mi affascinava l'idea di dipingere personaggi semplici, realistici, immediati, al di fuori di ogni allegoria».
Sono queste le parole con cui Pier Paolo Pasolini rievoca nel settembre 1970, nel press book del film, la sua prima ispirazione per l'opera in questione, ovvero la trasposizione cinematografica del Decameron di Boccaccio, primo episodio della «Trilogia della vita», proseguita con I racconti di Canterbury (1972) e completata da Il fiore delle Mille e una notte (1974). La rilettura pasoliniana del Decameron, com'era del resto facile prevedere, passando sotto la lente della censura venne condannata. Il film fu infatti sottoposto a sequestro in più regioni d'Italia, in seguito a numerose denunce per pornografia. Tutte però successivamente archiviate dal tribunale di Trento che, rivendicando la propria competenza territoriale, ne ordinò ogni volta il dissequestro.
Il Decameron di Pasolini, storia di un sogno (Carocci, pagg. 308, euro 26) è il saggio di Carlo Vecce dedicato a questa avventura dello scrittore e regista (e qui attore, nel ruolo di un allievo di Giotto) che si misurò con il classico della nostra letteratura.
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