Crac Ambrosiano, l’ultimo scippo

Il giallo degli 8,5 milioni di dollari sequestrati in Svizzera a Gelli da destinare ai piccoli azionisti ma girati misteriosamente alle banche creditrici. Scomparse le lettere che documentavano il diritto delle vittime al risarcimento deciso dal tribunale

Crac Ambrosiano, l’ultimo scippo

I fantasmi dell’Ambrosiano, il tesoro di Licio Gelli, lo «scippo» ai piccoli azionisti del Banco. Brutta storia, da pugni sul tavolo, questa delle vittime del crac che non vedranno un centesimo degli 8,5 milioni di dollari depositati sul conto 525779-XI Ubs di Ginevra intestato all’ex maestro venerabile, soldi loro assegnati in nome del popolo italiano. Non prenderanno il becco di un quattrino per due ordini di ragioni: perché le autorità elvetiche, che quel conto lo sequestrarono su input dei Pm milanesi, pur ricevendo precise indicazioni dai nostri giudici in merito agli utilizzatori finali di quel malloppo, hanno preferito accontentare le banche creditrici estere; e perché, smentendo quanto stabilito dai colleghi della Procura generale di Milano, altri magistrati dello stesso ufficio hanno successivamente concordato sulla proprietà «estera» delle somme sequestrate visto che, tra l’altro, agli atti del contenzioso con la Svizzera le lettere dei giudici italiani che imponevano alla polizia elvetica di rimborsare i piccoli azionisti sono scomparse persino dagli archivi del tribunale.

La beffa prende corpo a partire dall’anno 2000. Da quando, cioè, l’avvocato Gianfranco Lenzini, procuratore speciale e difensore di un gruppo di piccoli azionisti del Banco Ambrosiano, insieme ad altri avvocati presenta una denuncia-querela nei confronti di Gelli, dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, e del defunto liquidatore dell’Ambrosiano, Lanfranco Gerini. La pratica che finisce sul tavolo del pm Francesco Greco riguarda soprattutto un’ipotesi di bancarotta post-fallimento in danno dei piccoli azionisti per una spartizione segreta di fondi - avvenuta con l’assenso di Bankitalia il 15 aprile 1996 a Lugano - fra la Liquidazione del Banco Ambrosiano, Gelli e le banche consociate estere con l’allora istituto di credito di Roberto Calvi. Quella «spartizione» top secret riguardava 100 milioni di dollari di fondi appartenenti a Gelli, e non i restanti 8,5 milioni sequestrati dall’Ufficio federale di polizia di Berna. Quest’ultima somma, stando alla decisione presa il 3 giugno 1996 dalla seconda sezione della corte d’Appello di Milano (con la «non opposizione» della Procura generale) doveva essere interamente restituita alle parti civili del processo d’appello. E cioè esclusivamente ai piccoli azionisti, visto che il soggetto giuridico «Liquidazione Banco Ambrosiano» aveva revocato la costituzione di parte civile dopo aver segretamente transato con Gelli e spartito con banche estere i 100 milioni di dollari custoditi in depositi svizzeri.

In ballo restavano questi otto milioni e mezzo. L’assegnazione della somma alle vittime del crac, però, non avviene. Inspiegabilmente l’Ufficio federale di polizia di Berna gira tutto alle banche consociate estere «conformemente alla decisione del tribunale cantonale di Lugano», che però nella sua decisione aveva fatto cenno ai 100 milioni e non agli 8,5. Al giallo si aggiunge altro giallo, perché la decisione del tribunale di Lugano prevedeva che i soldi finissero a favore delle liquidazioni delle filiali del Banco Ambrosiano (Andino, di Managua e Oversee Limited) mentre si scoprirà poi che anche l’ultima parte del tesoro di Gelli era stato suddiviso secondo i criteri della transazione segreta di Lugano: 55 per cento alle banche consociate estere, 45 alla Liquidazione del Banco Ambrosiano.

Morale: i piccoli azionisti, legittimati a riscuotere gli otto milioni e mezzo (ad oggi rivalutati a 23 milioni di dollari) rimangono fregati. Anche perché, strada facendo si scoprirà che le lettere inviate in Svizzera dai giudici italiani e dalla nostra ambasciata a Berna non si trovano più. Anche nei faldoni custoditi nell’archivio del tribunale di Milano quelle preziose missive risultano svanite. Ovviamente il pool difensivo dei piccoli azionisti insorge. Promuove tre incidenti di esecuzione, tutti rigettati dal procuratore generale che nel giustificare la restituzione degli 8 milioni e mezzo di dollari alle banche consociate estere quale parte del patrimonio di 100 milioni di dollari, di fatto sconfessa il precedente provvedimento di «non opposizione» dei suoi colleghi nella stessa Procura generale. A otto anni dall’esposto-denuncia dei piccoli azionisti il pm Francesco Greco chiede, e ottiene, l’archiviazione del procedimento intentato dai piccoli azionisti.

«Con una motivazione - denuncia l’avvocato Lenzini - ricopiata dal Gip (copia e incolla) nel provvedimento che accoglie la richiesta medesima. Le indagini, di fatto, non sono mai state svolte. Fazio, Gelli, nessuno è stato mai interrogato». Il procedimento a carico del pm Greco, aperto a Brescia su denuncia dei piccoli azionisti, viene archiviato. Gli esposti al Csm non vanno avanti.

Per interrompere i termini della prescrizione i truffati dal crac in questi giorni hanno presentato nuovi esposti, corpose denunce, ulteriori memorie. Vogliono giustizia, chiedono la restituzione dei soldi. Con l’aria che tira non avranno né l’una né l’altra.

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