Alessia Pifferi, tutte le tappe del processo. La lotta della sorella: "Giustizia"

La piccola Diana Pifferi, 18 mesi, morì di stenti a luglio del 2022 dopo essere stata lasciata sola in casa per sei giorni. La madre, Alessia Pifferi, è a processo con l'accusa di omicidio aggravato

Alessia Pifferi, tutte le tappe del processo. La lotta della sorella: "Giustizia"

Riprende il processo davanti alla Corte d'Assise di Milano a carico di Alessia Pifferi, la 38enne accusata di omicidio volontario pluriaggravato, per aver fatto morire di stenti la figlioletta di 18 mesi, Diana, abbandonandola per sei giorni in un appartamento in zona Ponte Lambro, alla periferia della capoluogo lombardo. "Sarà una giornata durissima. Come tutte le altre volte che devo incrociare lo sguardo di mia sorella in quell'aula di tribunale. Mia nipote aveva tutto il diritto di crescere e continuare a vivere. È solo questo il motivo per cui chiedo che venga fatta giustizia" dice a ilGiornale.it Viviana Pifferi, sorella dell'imputata.

La morte della piccola Diana

La piccola Diana Pifferi, 18 mesi, fu trovata morta il 20 luglio del 2022 nell'abitazione in cui viveva assieme alla madre, Alessia Pifferi. A lanciare l'allarme, dapprima ai vicini di casa e poi al 118, fu proprio la donna. Quando i soccorritori del 118 giunsero sul posto non poterono far altro che accertare il decesso della bimba che giaceva esanime in una culla da campeggio. Accanto al corpicino c'erano solo un biberon vuoto e una bottiglietta d'acqua. I successivi esami cadaverici accertarono che la piccina era morta di fame e sete dopo essere stata abbandonata per 6 giorni senza cibo né acqua. "Diana era molto dolce e sempre sorridente, non piangeva mai. Avrei tanto voluto avere la possibilità di crescere mia nipote e di viverla come zia, era una bimba meravigliosa", ricorda Viviana Pifferi.

L'arresto di Alessia Pifferi

Fin da subito i sospetti degli investigatori si concentrarono su Alessia Pifferi. L'allora 37enne fu arrestata il giorno successivo al ritrovamento della bimba. Interrogata dal pm Francesco De Tommasi, titolare dell'inchiesta assieme alla collega Rosaria Stagnaro, la donna rivelò di aver lasciato Diana da sola in casa per andare dal compagno che viveva a Leffe, in provincia di Bergamo. Lì vi era rimasta per sei lunghi giorni, ignorando, come lei stessa ammetterà durante l'interrogatorio di convalida del fermo, i rischi e le drammatiche conseguenze per la salute della figlioletta. "Sapevo che stavo facendo qualcosa che non andava fatto, che poteva succedere di tutto. - ammise - Ma non la disidratazione e la morte".

I sospetti: "Diana è stata sedata?"

All'interno dell'appartamento di via Parea, gli agenti della squadra mobile guidati da Marco Calì trovarono un flacone vuoto per tre quarti di "En", un farmaco contenente benzodiazepine. Da qui il sospetto che la donna potesse aver sedato la figlioletta prima di allontanarsi dall'appartamento. Ma gli esami tossicologici effettuati sulla bottiglietta d'acqua e sul biberon trovate accanto al corpicino della bimba, eseguiti con la formula dell'incidente probatorio su richiesta degli ex difensori Solange Marchignoli e Luca D'Auria, non hanno evidenziato tracce di tranquillanti. Circostanza che, sul piano giudirico, ha escluso l'ipotesi della premeditazione.

Una vita di eccessi

Come emerso durante le indagini, Alessia Pifferi era ossessionata dall'idea di perdere il nuovo compagno (totalmente estraneo alla vicenda) che aveva conosciuto su Tinder poco tempo prima della nascita di Diana. Non solo. Aveva un stile di vita dispendioso rispetto alle sue reali possibilità economiche. Si procacciava il denaro con vari espedienti, anche mediante prestazioni sessuali a pagamento con uomini conosciuti in chat e su app di incontri. Soldi che poi investiva in cene costose, abiti lussuosi oppure spostamenti a bordo di limousine. "Non ho mai condiviso le scelte di vita di mia sorella, nel senso che non lavorava e cercava a tutti i costi di avere un compagno. - puntualizza Viviana Pifferi - Ero preoccupata più che altro che, cercando, potesse trovare qualcuno che facesse del male alla bambina. Ma mai avrei pensato che fosse lei l'unico reale pericolo per mia nipote".

Il processo

Rinviata a giudizio con l'accusa di omicidio volontario pluriaggravato davanti alla Corte d'Assise di Milano, Alessia Pifferi ha sempre negato di voler fare del male alla figlioletta. Per gli inquirenti, invece, avrebbe ucciso Diana perché rappresentava "un peso, un ostacolo" alla sua felcità. L'avvocato Alessia Pontenani, subentrata al collega Fausto Teti, aveva chiesto una perizia psichiatrica per l'assistita ipotizzando un eventuale "deficit cognitivo". La richiesta è stata respinta dalla Corte d'Assise presieduta dal presidente Ilio Mannucci Pacini ritenendo che l'imputata fosse "lucida" al momento del fatto. Al processo, cominciato lo scorso marzo, hanno già deposto alcuni testimoni, tra cui l'ex compagno della donna, la mamma della 38enne, Maria Assandri, e la sorella Viviana Pifferi, che si sono costituite parte civile. Durante l'ultima udienza, l'8 maggio 2023, è emerso che un vicino di casa della donna è indagato con l'ipotesi di reato per favoreggiamento della prostituzione. Secondo l'accusa, avrebbe aiutato Alessia Pifferi a organizzare incontri a pagamento con gli uomini.

"Giustizia per Diana"

Dal carcere di San Vittore, dove è ristretta dallo scorso luglio, la 38enne ha scritto due lettere, una indirizzata alla madre e l'altra alla sorella, in cui le accusa di averla abbandonata. "Le lettere, in cui non ha mostrato neanche il minimo pentimento per quello che ha fatto, sono scritte con un tono incommentabile. - racconta Viviana Pifferi - Mi hanno completamente spiazzata le sue accuse. Ha avuto tutto il sostegno possibile sia da me che da mia madre, che peraltro le ha messo a disposizione anche la casa in cui viveva con la piccolina. Mia madre c'è sempre stata, non le ha fatto mancare nulla". Alessia Pifferi, che oggi salirà per la prima volta sul banco degli imputati, rischia la condanna all'ergastolo.

"Sarò presente fino all'ultimo giorno del processo e continuerò a indossare la maglietta con la foto di Diana perché voglio che nessuno dimentichi mia nipote. - conclude la sorella Viviana - Aveva tutto il diritto di vivere ed è solo per lei che chiedo giustizia".

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