La scia di archiviazioni delle inchieste sulle morti degli ospiti per covid 19 nelle residenze per anziani, nella primavera 2020, continua. L’ultima in ordine cronologico - dopo quelle, tanto per citare i casi più famosi, della rsa Don Gnocchi e della Golgi Redaelli - è quella chiesta rispetto all’indagine sulla residenza per anziani di Lainate, nel Milanese, il cui immobile è di proprietà di Palazzo Marino. Tra le inchieste che più hanno fatto scalpore, quella sulla strage di anziani al Pio Albergo Trivulzio, che è ancora aperta. Il fascicolo sulla rsa di Lainate della pm Letizia Mocciaro, con l'ipotesi di omicidio colposo, contro ignoti, era nata dopo l’esposto dei figli di uno degli ospiti, un 84enne, gravemente malato e immunodepresso, di Paderno Dugnano, ricoverato nel corridoio “Orchidea” della struttura. Struttura in cui, dal febbraio al maggio 2020 sono morti 54 ospiti, di cui 24 a causa delle conseguenze del coronavirus.
L’anziano era compagno di stanza di un altro ospite che, sottoposto a tampone nell’aprile di quell’anno, risulterà il primo paziente accertato di covid 19 della rsa. Nell’esposto all’autorità giudiziaria i figli lamentavano che il padre non fosse stato sottoposto a ulteriori esami di laboratorio nonostante la febbre persistente, anche se dalle testimonianze era emerso come il direttore sanitario della struttura avesse spiegato loro che era difficile ottenere la lavorazione dei campioni e che lo stesso si era attivato per poi trovare un laboratorio disponibile a Como che potesse processarli in tempi rapidi.
Come si ricostruisce nella richiesta di archiviazione della pm Mocciaro e della procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, la carenza di mascherine e altri dispositivi, lamentata dai familiari dei pazienti ricoverati, si inserisce però nel contesto di una cronica difficoltà nell’approvvigionamento di dpi in quel periodo. Oltre al fatto che lo stesso Iss, l’Istituto superiore di sanità, ancora il 28 marzo 2020, avesse riferito, da un lato, sottolineato la non evidenza di una trasmissione del virus per via aerea e, dall’altro, avesse ritenuto non necessaria la presenza di mascherine in luoghi “quali reparti, corridoi, con pazienti senza sintomi respiratori”. Per di più, la raccomandazione generale era di utilizzare i dpi solo per pazienti sintomatici.
La struttura - ricostruisce la procura - provó anche a sopperire all’emergenza con l’uso di test sierologici usati a scopo preventivo, e anche la formazione è stata superata e gestita dalla direzione sanitaria. Nelle conclusioni, si sottolinea che “manca il nesso causale tra la condotta e l’evento, tenuto conto della diffusione del virus a partire da febbraio 2020”. E che peraltro non è possibile accertare quando il virus entrò in struttura, se furono i lavoratori o i parenti dei pazienti o chiunque altro a portarlo all’interno e se i lavoratori si ammalarono nella struttura o all’esterno.
In estrema sintesi, per i pm le condotte si riferiscono alla “fase iniziale della pandemia, tra febbraio e giugno 2020, ossia in un momento in cui gli studi scientifici e l’esperienza tecnica non erano ancora sviluppati, al punto da dare risposte certe e precise sul virus e sui rimedi ad esso”.
E che, per di più, il modus operandi nella rsa è stato “fortemente condizionato dalla scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in base al numero dei casi da trattare”. Da qui la richiesta di archiviazione al gip, che dovrà decidere se accoglierla, se ordinare nuove indagini o l'imputazione coatta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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