Il diritto variabile dei delitti e delle pene

Può un duplice femminicidio beneficiare delle attenuanti concesse per "la situazione che si era creata in famiglia e che ha indotto indubitabilmente a compiere il tragico gesto"?

Il diritto variabile dei delitti e delle pene
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Fucilate alla moglie e alla figliastra dopo continui litigi. «Motivi umanamente comprensibili» e quindi 30 anni e non l’ergastolo. Può un duplice femminicidio beneficiare delle attenuanti concesse per «la situazione che si era creata in famiglia e che ha indotto indubitabilmente a compiere il tragico gesto»? Considerazioni difficili anche da immaginare, prima delle 213 pagine del Dispositivo confezionato dalla Corte d’assise di Modena nel processo per la tragedia di Castelfranco Emilia, dove Gabriella Trandafir e la figlia Renata vennero uccise nel da Salvatore Montefusco davanti al figlio minore. Motivazioni che poco incideranno sul percorso di carcerato dell’assassino, ma che pongono infiniti dubbi e sicuramente indicano una brusca deviazione sulla strada che porta a una maggiore consapevolezza e a un giusto inasprimento delle pene nei casi di femminicidio e violenza sulle donne. Non rendendo condivisibile quella «comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato» assunta dai giudici come elemento decisivo nella quantificazione della pena.

Un fatto che ieri la cronaca giudiziaria ha affiancato all’assoluzione di un ragazzo che ha ucciso il padre violento per difendere la mamma. E anche qui, con una lettura di senso opposto, l’interpretazione della legge ha avuto la meglio sulla sua lettera. Tre delitti che dovrebbero dire la stessa terribile cosa: la morte di esseri umani, per mano di altri esseri umani, il fatto più contronatura. E, invece, due sentenze che con verdetti inusuali li interpretano, costringendo a movimentare tutto l’armamentario psicologico e morale insieme a quello giuridico. E, del resto, della dialettica tra la legge degli uomini e quella degli dei già si occupò nel 442 a.C. il sommo Sofocle nel suo Antigone. Tragedia sulla quale l’umanità si è da quel giorno cimentata, per capire se la decisione di dare sepoltura al fratello Polinice, pur contro la volontà di Creonte re di Tebe, fosse legittima o comunque delittuosa. Ed è quello che ci si chiede anche oggi, leggendo del giovanissimo Alex Cotoia (nella foto) che a 18 anni ammazzò con 34 coltellate il padre. Infierendo su di lui agonizzante, tanto che la prima sentenza d’Appello lo aveva condannato a 6 anni, 6 mesi e 20 giorni.

Una pena che mediava tra il delitto da punire e l’umana comprensione delle motivazioni.

Ora la sentenza dell’Appello bis e un’assoluzione che alla legge dei codici antepone se non quella degli dei, quella dell’amore di un figlio per una madre aggredita e violata dalla prepotenza di un marito che forse non meritava di essere chiamato così.

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