Fecondazione assistita, "no" al riconoscimento del figlio della ex. "Era un mero spettatore"

L'uomo aveva chiesto il riconoscimento del figlio che la ex compagna ha avuto tramite fecondazione assistita all'estero. Per i giudici non può essere riconosciuto il ruolo paterno senza un progetto di maternità comune

Fecondazione assistita, "no" al riconoscimento del figlio della ex. "Era un mero spettatore"
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Non è sufficiente sostenere la propria compagna nella pianificazione della maternità per poter diventare genitore sociale (non biologico, ndr). È quanto ha stabilito il Tribunale di Milano respingendo la richiesta di un uomo che chiedeva il riconoscimento del figlio che la ex aveva avuto tramite fecondazione assistita all'estero da un donatore anonimo. La donna, assistita dagli avvocati Irma Conti e Ilaria Guarciariello, si era opposta alla richiesta dell'ex rivendicando il diritto alla costruzione di una famiglia monogenitoriale. Diritto che i giudici meneghini le hanno riconosciuto precisando che l'uomo è stato un "mero spettatore" - precisa l'Ansa riportando una stralcio della sentenza - della scelta procreativa avviata dall'allora compagna. "Non è stata raggiunta la prova puntale che il ricorrente avesse assunto un ruolo paterno nella vita del minore, attraverso l'esercizio dei diritti e dei doveri finalizzati alla crescita del figlio ed allo sviluppo della sua personalità, con una frequentazione qualificata nell'ambito della quale il minore avrebbe potuto identificare nel soggetto una figura paterna, godendone delle cure, dell'assistenza morale e materiale, della istruzione e della educazione", precisano i magistrati.

"No al riconoscimento del figlio della ex"

Il Tribunale di Milano ha ritenuto che l'uomo, sebbene abbia sostenuto in parte la ex compagna accompagnandola all'estero la prima volta e incoraggiandola qualche volta con messaggi telefonici, sia rimasto "del tutto estraneo" al progetto di maternità della donna. A riprova di ciò nella sentenza si sottolinea come il ricorrente non abbia sottoscritto la documentazione all'avvio del percorso di fecondazione, dalla quale emerge l'indicazione della donna come "single". Una circostanza, che secondo i giudici, costituisce prova certa della mancanza di volontà da parte dell'uomo di partecipare alla gravidanza della compagna rimanendo "mero spettatore" del percorso procreativo. Pertanto, nonostante la coppia convivesse nel periodo anteriore alla gestazione e la relazione fosse finita nell'estate 2020, dopo la nascita del minore, quando il piccolo aveva due anni, il Tribunale meneghino ha riconosciuto alla donna il diritto alla costruzione di una famiglia monogenitoriale.

"Foto non costituiscono prova del ruolo genitoriale"

Secondo i giudici milanesi non sono sufficienti le foto e i messaggi affettuosi per dare prova dell'assunzione di responsabilità genitoriale. In buona sostanza, affinché un bambino riconosca nell'adulto una figura paterna occorre un'assunzione di responsabilità, di condivisione delle decisioni con l'altro genitore, nel rispetto della bigenitorialità, della convivenza e della vicinanza fisica con il minore. "Se è vero che vi sono messaggini scambiati tra le parti che manifestano affetto verso il piccolo e se danno conto di momenti trascorsi insieme, come anche alcune foto - si legge nella sentenza della nona sezione civile del tribunale di Milano - certamente non forniscono la prova di assunzione di responsabilità genitoriale verso il minore, nel senso di quel fascio di diritti/doveri che gravano sul genitore finalizzati alla crescita del figlio ed allo sviluppo della sua personalità nel rispetto delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni e di una frequentazione qualificata nell'ambito della quale il minore abbia potuto identificare nella figura paterna e godere delle cure, della assistenza morale e materiale, della istruzione e della educazione" da parte dell'uomo.

"Centrale l'interesse del minore"

Motivando la decisione di respingere la richiesta dell'uomo i giudici precisano che è "l'interesse del minore da porre al centro" e dal momento che fra il piccolo e l'ex compagno della madre ci sono stati solo "saltuari e intermittenti incontri e qualche video chiamata, nulla di simile ad una relazione tra un bambino ed un adulto che ha assunto e svolto nel tempo un ruolo genitoriale è stato dedotto e provato nel presente

giudizio". "Pertanto - conclude la sentenza - nessuna condotta pregiudizievole per il figlio è riscontrabile nella decisione della madre di interrompere le frequentazioni del minore" con il suo ex.

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