“Fornì il proprio contributo”. Ecco perché Fini è stato condannato per la casa di Montecarlo

In 84 pagine di sentenza i giudici hanno spiegato le ragiono che hanno portato alla condanna di Gianfranco Fini a 2 anni e 8 mesi di reclusione

“Fornì il proprio contributo”. Ecco perché Fini è stato condannato per la casa di Montecarlo
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I giudici della quarta sezione penale di Roma hanno reso note le motivazioni della sentenza di 84 pagine con cui lo scorso 30 aprile hanno condannato l'ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a due anni e otto mesi con l'accusa di riciclaggio per la casa a Montecarlo, che la contessa Annamaria Colleoni ha lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale. Secondo la tesi dell'accusa, l'immobile sarebbe stato acquistato da Giancarlo Tulliani, fratello dell'allora compagna di Fini, attraverso società off-shore. Nella sentenza si legge che "risulta provato" Che Fini "fornì il proprio contributo nell'operazione di riciclaggio relativa ai trasferimenti di denaro finalizzati all'acquisto dell'appartamento di Montecarlo, consistito, come contestato, nell'aver autorizzato la vendita della casa di Montecarlo".

Questo, proseguono i giudici, "nella consapevolezza dell'incongruità del prezzo rispetto al valore di mercato e a favore della società offshore dei congiunti". Nella sentenza si legge che "è risultato con certezza che Fini nel 2008 si adoperò per introdurre il 'cognato' in ambienti dai quali potesse trarre fonti di guadagno. Giancarlo Tulliani infatti era privo di un solido profilo professionale e le società che a lui facevano capo (Wind Rose srl in liquidazione, Wind Rose International srl in liquidazione, Giant Entertainment Group srl ni liquidazione, Absolute Television Media srl, Dandylion sr.), compresa la Wind Rose srl presieduta dal padre Sergio Tulliani, non erano più attive o erano state volontariamente liquidate".

Il quell'arco di temo, scrivono i giudici, "su insistenza di Giancarlo Tulliani e della sorella, Fini si determinò a vendere l'appartamento", nonostante "la decisione contraria assunta in precedenza dal partito". Quindi, "Fini autorizzò la vendita della casa" perché "il 'cognato' era interessato all'acquisto". Nella sentenza viene anche spiegato che in questa operazione "contrariamente a quanto aveva fatto in occasione dell'acquisizione dell'immobile, lasciando al senatore Pontone completa autonomia", Fini "gestì personalmente le trattative fissando il prezzo in 300.000 euro".

L'ex presidente della Camera, fanno notare i giudici, "era ben consapevole che il 'cognato’ aveva un forte interesse nell'affare" ed è per questo che ora "deve rispondere di tale segmento di condotta del riciclaggio".

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