"L'indagine su mafia e appalti fu insabbiata". Pignatone indagato per favoreggiamento

Con lui sono coinvolti anche l'ex pm Natoli e il generale della Guardia di Finanza Screpanti: avrebbero chiesto l'archiviazione di un filone d'indagine dell'inchiesta mafia-appalti del '92 e disposto la distruzione di bobine con intercettazioni rilevanti

"L'indagine su mafia e appalti fu insabbiata". Pignatone indagato per favoreggiamento
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Sarebbe stato il capo di un sistema che avrebbe aiutato alcuni imprenditori mafiosi a sfuggire un trentennio fa ad alcune indagini. Giuseppe Pignatone, ex procuratore aggiunto di Palermo e poi procuratore a Reggio Calabria e a Roma, risulta indagato dalla procura di Caltanissetta nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria sul presunto insabbiamento dell'indagine su mafia e appalti, aperta a Palermo nel 1992 e sulla quale si era concentrata l'attenzione di Paolo Borsellino dopo la morte di Giovanni Falcone, sui rapporti tra gli imprenditori mafiosi Nino e Salvatore Buscemi e il gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini.

Il magistrato, che adesso presiede il tribunale del Vaticano, si è recato questa mattina nel palazzo di giustizia nisseno per essere interrogato. L'ipotesi di reato è favoreggiamento alla mafia, commesso secondo l'accusa dallo stesso Pignatone - ai tempi pm a Palermo - in concorso con l'ex procuratore Pietro Giammanco (scomparso nel 2018 e considerato "l'istigatore" della condotta). Insieme a Pignatone sono indagati per il medesimo reato anche l'ex sostituto procuratore a Palermo Gioacchino Natoli e il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti.

Le accuse contro Pignatone e gli altri

La ricostruzione della procura del comune siciliano ruota tutta attorno al fascicolo (trasmesso a Palermo da Massa-Carrara) sulle infiltrazioni di Cosa nostra nelle cave di marmo in Toscana, di cui Natoli chiese e ottenne l'archiviazione nel giugno del 1992. Trentadue anni fa, tra i principali indagati, c'erano Antonino Buscemi e Francesco Bonura, due imprenditori palermitani mafiosi vicini a Totò Riina che poi erano diventati soci del gruppo Ferruzzi.

Secondo l'accusa Pignatone, Natoli, Giammanco e Screpanti (ciascuno nel proprio ruolo) hanno aiutato i sospettati a "eludere le investigazioni", svolgendo "un'indagine apparente" chiedendo e in particolare l'autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica "per un brevissimo lasso temporale" inferiore ai quaranta giorni "per la quasi totalità dei target". Il tutto "solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione". Inoltre, non sarebbero state trascritte conversazioni "particolarmente rilevanti", da considerarsi "vere e proprie autonome notizie di reato".

La difesa degli indagati

Lo scorso 5 luglio scorso anche l'ex pm Gioacchino Natoli era stato convocato nella procura del comune siciliano per potere essere interrogato: in quella circostanza si era avvalso della facoltà di non rispondere, riservandosi di chiedere alla Procura un successivo interrogatorio in cui fornire "ogni utile chiarimento". Anche il generale Screpanti, all'epoca capitano, è stato interrogato e ha risposto alle domande dei pm nisseni. La vicenda era stata ricostruita nel settembre del 2023 davanti alla commissione Antimafia dall'avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino.

Nelle audizioni di gennaio e febbraio, Natoli - che ha fatto parte del pool di Falcone e Borsellino - aveva poi difeso il proprio operato, sostenendo di non avere seguito l'intero fascicolo mafia-appalti ma solo quello trasmesso dalla procura di Massa Carrara: le intercettazioni sarebbero state poi archiviate dopo

appena tre mesi dall'apertura dell'indagine perché, secondo l'ex pm, non sarebbe emerso nulla di penalmente rilevante. L'inchiesta "mafia e appalti" sarebbe stata una delle cause della strage di via D'Amelio.

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