“Le telefonate, il sangue, il furto”: così l’Antimafia vuole riaprire il delitto di via Poma

La commissione Antimafia segnala i punti oscuri che potrebbero essere chiariti sul delitto di via Poma. Chi è il colpevole dell'omicidio di Simonetta Cesaroni?

“Le telefonate, il sangue, il furto”: così l’Antimafia vuole riaprire il delitto di via Poma
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Difficile definirlo con certezza femminicidio ante-litteram, anche se è una delle tantissime possibilità. Non se ne conosce il colpevole, non se ne conosce soprattutto il movente. Eppure nuovi spiragli sul delitto di via Poma innescano un circuito di comprensibili speranze. “Ci auguriamo che s’investa con qualsiasi mezzo di indagine sulla verità che riguarda questo primo femminicidio”, ha commentato al Corriere della Sera la legale Federica Mondani, che segue Paola Cesaroni, sorella della vittima, Simonetta Cesaroni.

L’omicidio

La 21enne Simonetta Cesaroni fu trovata morta il 7 agosto 1990, uccisa con 29 coltellate, negli uffici dell’Aiag (Associazione italiana alberghi della gioventù) in via Poma a Roma: la giovane si trovava lì con il compito di inserire dei dati in un computer. Purtroppo le indagini risentirono di una scena del crimine inquinata involontariamente. Un esempio su tutti: al pc su cui Cesaroni stava lavorando fu staccata la spina.

I dubbi dell’Antimafia

Esistono oggi, a 33 anni di distanza, delle “proposte operative” della commissione Antimafia, al fine di indagare “un’attività post delictum, intesa ad occultare il fatto omicidiario o... persino ad attuare un qualche proposito di spostamento del corpo dal luogo in cui fu poi rinvenuta”. In altre parole si mira a “rivalutare... l’insieme degli esiti dei rilievi svolti sul materiale ematico al fine di considerare se siano esperibili ulteriori esami utili”. Le tracce ematiche furono in effetti al tempo un dilemma, anche perché, rispetto alla quantità che potenzialmente avrebbe potuto fuoriuscire dal corpo, ne vennero rinvenute poche. Ma ce ne fu una molto misteriosa nell’ascensore del palazzo di via Poma.

C’è poi la questione delle telefonate relative a prima e dopo il delitto, in particolare quelle anonime ricevute frequentemente da Simonetta Cesaroni nei giorni precedenti all’omicidio. Per cui l’Antimafia propone di “riconsiderare...l’esatta sequenza e l’orario di due gruppi di telefonate”, ovvero quelle fatte dal custode dell’edificio Pietrino Vanacore, che si tolse la vita nel 2010, e quelle intercorse tra Cesaroni e due dipendenti Aiag, Anita Baldi e Luigina Berrettini.

Un personaggio centrale

Ebbe un ruolo il presidente Aiag Francesco Caracciolo Di Sarno? C’è chi ritiene che Caracciolo, scomparso nel 2016, venne avvisato da Vanacore dell’omicidio prima che fossero allertate le forze dell’ordine. L’uomo non viveva lontano da via Poma e nei giorni precedenti all'omicidio Cesaroni fu vittima di un furto: gli venne rubata una cassetta di sicurezza da Massimo Carminati, che a questo punto probabilmente potrebbe essere ascoltato ancora una volta sul caso.

Un’altra direzione in cui vanno le proposte dell’Antimafia è “valutare l’ipotesi di più approfonditi atti investigativi volti a vagliare il possibile legame tra il furto nel caveau di cui fu vittima Caracciolo Di Sarno con gli uffici dell’Aiag e con il delitto”.

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