Hamas, Fatah, Israele, Hezbollah, Libano, Iran, Medio Oriente: queste ore hanno scoperchiato nuovamente il vaso di Pandora delle guerre arabo-israliane. Alcune domande, e altrettante risposte, per districarsi in questa nuova fase del conflitto.
Perché la guerra è scoppiata ora per volontà di Hamas
Pur trattandosi di un conflitto atavico, che si trascina dal 1948, la recrudescenza della violenza in queste ore ad opera di Hamas è legata ai negoziati che tra Israele e Arabia Saudita mirano a modificare decisamente l’assetto del Medio Oriente.
Un accordo che avverrebbe con il grande placet di Washington. Dopo gli Accordi di Abramo voluti dall’ex presidente Donald Trump, il nuovo patto di convergenza fra le tre nazioni impiegherebbe uno sforzo ben preciso per ognuno dei tre partecipanti. Se i Sauditi hanno come compito storico quello di affrancarsi dagli estremismi, soprattutto di stampo sunnita, dovranno inoltre lavorare sulla compatibilità e il riavvicinamento tra mondo islamico e Stato ebraico; a Israele è stato chiesto, secondo i rumors trapelati a fine settembre dopo l’incontro bilaterale Biden-Netanyahu, di frenare gli insediamenti in Cisgiordania e migliorare le condizioni di vita dei Palestinesi: l’occasione fu lieta, da parte di Joe Biden per ribadire anche la necessità di un eventuale passo storico sulla questione dei “due popoli, due Stati”.
Gli Stati Uniti, garanti eventuali dell’accordo tripartito, si impegnerebbero ad accettare un accordo di mutua difesa con l’Arabia Saudita. Secondo le ipotesi più accreditate è dall’impedire le finalizzazione di questo accordo che si sarebbe scatenata l’operazione di Hamas con la regia, nemmeno più di tanto occulta, di Teheran.
Cos'è Hamas e perché ha attaccato Israele
All’ombra della prima Intifada (dicembre 1987), il movimento popolare di resistenza a Gaza e in Cisgiordania contro Israele, nacque nel 1988 Hamas, acronimo di Harakat al-Muqāwama al-Islāmyya, per volontà dello sceicco Ahmad Yasin. Yasin, già adepto dei Fratelli Musulmani, fondò nel 1973 l’organizzazione Al Mujamma Al Islami, a cui si ispirerà Hamas stesso.
Nato come movimento sia militare che politico, oggi vive una organizzazione interna che distingue tra Hamas-partito e il suo braccio militare, ovvero le brigate Ezzedin al-Qassam. Ma soprattutto, il movimento vive una contraddizione interna tra il gruppo vicino al Qatar, maggiormente predisposto al dialogo, e quello degli “iraniani”, che si rifà al vecchio statuto e che è in linea diretta con Teheran.
Hamas, dal 2006 governa la striscia di Gaza, dopo la storica sconfitta di Fatah alle elezioni per il Consiglio nazionale palestinese: un voto che venne salutato come plebiscitario. Si tratta, ancora oggi, di un’organizzazione ispirata al fondamentalismo islamico. Il suo obiettivo non è la convivenza con gli israeliani ma l’eliminazione dello Stato di Israele da sostituirsi con uno Stato islamico dal Giordano al Mediterraneo.
Hamas dichiarò la propria natura, i suoi metodi e gli obiettivi in un documento programmatico pubblicato nell’agosto 1988 che si basava sul consueto armamentario antisemita, rifiutando qualsiasi soluzione negoziata alla pace. Hamas è considerata pertanto un’organizzazione terroristica da Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Giappone e, ovviamente, Israele. Il suo nuovo Statuto del 2017, una versione più “pettinata”, non ne ha nei fatti mutato gli obiettivi.
Dove si sta combattendo: la mappa degli scontri
In questo nuovo triste episodio del conflitto arabo-israeliano, si combatte soprattutto a sud, dove l’aeronautica israeliana sta prendendo di mira da ieri le strutture di Hamas nella striscia di Gaza. Sempre qui si sta combattendo la battaglia per gli ostaggi civili. L'esercito israeliano ha dichiarato che intende evacuare tutti gli israeliani che vivono vicino nella Striscia di Gaza entro 24 ore e, allo stesso tempo, ha dispiegato decine di migliaia di soldati per combattere i militanti palestinesi che si sono infiltrati in Israele. "La nostra missione per le prossime 24 ore è evacuare tutti i residenti che vivono intorno a Gaza", ha detto ai giornalisti il portavoce militare Daniel Hagari, aggiungendo che sono ancora in corso i combattimenti per "salvare gli ostaggi" tenuti dai militanti in Israele.
Nel frattempo si accende il fronte nord, ove ai colpi di mortaio giunti dalle milizie Hezbollah in Libano, Israele ha risposto con l’artiglieria. Il timore del fronte nord, e di una possibile invasione si era già diffuso nel pomeriggio di ieri, quando si era vociferato di un ingresso di forze libanesi in territorio israeliano. Alla fine della seconda giornata di guerra, numerose le novità anche lungo il confine settentrionale: le popolazioni che qui risiedono verranno presto evacuate. Sarebbe, infatti, in corso una mobilitazione per rinforzare il contingente al confine con il Libano.Si continua a combattere e a pattugliare anche il territorio di Sderot, la più grande città vicino la striscia di Gaza, soprattutto nei pressi della stazione di polizia trasformatasi in quartier generale di Hamas. I timori ora si spostano anche in Cisgiordania, ove si teme la rappresaglia dei coloni israeliani che allargherebbe il conflitto al West Bank.
Una seconda guerra parallela è quella degli ostaggi, che si sta combattendo a livello della fitta rete di tunnel scavata sotto la striscia di Gaza. Qui, infatti, sarebbero stati condotti circa cento individui fra civili e soldati israeliani.
Qual è il ruolo dell’Iran
Un portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, ha reso noto che il Movimento di resistenza islamica ha ricevuto "il diretto sostegno dell'Iran", suo fermo alleato, nell'attacco a sorpresa condotto contro Israele e che questo "è motivo di orgoglio". Il portavoce ha aggiunto che anche altri hanno collaborato senza però farne il nome. Hamad ha spiegato che la violenza è una risposta agli attacchi dei coloni ebrei in Cisgiordania.
"Ogni giorno costruiscono insediamenti, si impadroniscono delle nostre terre, uccidono la nostra gente ed entrano nelle nostre città. Attraverso mediatori, egiziani, qatarioti o le Nazioni Unite, abbiamo detto loro di fermarsi, ma non hanno ascoltato nessuno". L’obiettivo principale di Teheran è quello di destabilizzare l’area impedendo la normalizzazione del mondo saudita con Israele, suo acerrimo nemico.
Vociferato, sospettato, ipotizzato per ore dall’inizio dell’attacco di ieri, soprattutto in seguito alle manifestazioni di giubilo delle piazze in quel di Teheran e delle felicitazioni da qui giunte verso l’operazione di Hamas. L'Iran ha celebrato con i fuochi d'artificio l'operazione delle milizie palestinesi di Hamas contro Israele. "Allah Akbar, Allah Akbar" gridavano centinaia di persone nella piazza di Teheran, dove si sono riunite per manifestare il loro sostegno all'operazione "Tempesta di Al Aqsa".
I canti sono stati accompagnati da fuochi d'artificio e canzoni, che hanno dato un'aria festosa alla capitale iraniana, come mostrato dalle televisioni del Paese. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Naser Kananì, "si è congratulato con la grande nazione palestinese e con tutti i gruppi antisionisti per l'operazione Tempesta di Al Aqsa", secondo l'agenzia Isna. Allo stesso tempo, nel Parlamento iraniano, i deputati si sono alzati in piedi e hanno lanciato slogan a sostegno di Hamas, secondo video condivisi dai media del Paese. Solo quattro giorni fa, Khamenei aveva assicurato che i giorni di Israele erano "contati".
Breve storia delle guerre tra Palestina e Israele
Due popoli, un solo territorio. Dagli albori della controdiaspora ebraica post-Prima Guerra Mondiale il problema della Palestina è sempre stato questo. Una gestione scellerata dei mandati da parte delle grandi potenze che, voltatesi dall’altra parte, hanno lasciato che i flussi incontrollati successivi alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah sovraccaricassero una terra storica contesa fra vecchi e nuovi abitanti. Così, in una finestra lasciata aperta sulla storia, nacque lo Stato di Israele. Accanto ad esso, una lunga scia di sangue che contrappone dagli anni Quaranta il popolo palestinese e lo Stato di Israele e che ha visto quattro conflitti principali dai quali, negli ultimi cinquant'anni sono scaturiti ulteriori corollari e appendici del conflitto principale.
1948-49 Prima Guerra arabo-israeliana
Il 15 maggio, otto ore dopo la Dichiarazione di Indipendenza di Israele, gli eserciti di Siria, Transgiordania, Iraq, Egitto e Libano (più un contingente dell’Arabia Saudita) attaccano Israele che si attesta, mesi dopo, vincitrice del conflitto, mantenendo il Negev, L’Egitto manteneva la Striscia di Gaza (che non annetté) mentre Gerusalemme Est venne occupata dalla Transgiordania. In risposta, Israele occupò Gerusalemme ovest;
1956 Seconda Guerra arabo-israeliana
Nàsser, presidente egiziano e leader del mondo arabo, nazionalizza la Compagnia del Canale di Suez, dando inizio alla campagna del Sinai, nota anche come Seconda guerra arabo israliana. Le forze israeliane invadono rapidamente il Sinai. Usa e Unione sovietica impongono il cessate il fuoco. Israele restituisce il Sinai e l’Onu invia i caschi blu a presidiare stretto di Tiran e la frontiera israelo-egiziana a Gaza;
1967 Guerra dei Sei giorni
In maggio esplode la tensione tra Israele, Siria e Giordania, acuita dall’accerchiamento arabo di Israele che mette in piedi un attacco a sorpresa. In sei giorni conquista la Cisgiordania con Gerusalemme Est, la striscia di Gaza, l’intero Sinai e le alture del Golan. Mentre inizia l’esodo palestinese, i Paesi arabi dicono no alla pace. Nel frattempo, l’Onu approva la famigerata risoluzione 242 sul ritiro da (e non dai) territori occupati.
1973 Guerra dello Yom Kippur
Nel giorno più sacro agli ebrei, Egitto e Siria invadono Israele.
Con una mossa a sorpresa le forze israeliane attraversano Suez e capovolgono le sorti del conflitto. L’Onu intima il cessate il fuoco ma, circa una settimana dopo gli stati arabi produttori di petrolio decidono l’embargo petrolifero nei confronti di tutti gli Stati giudicati filoisraeliani.
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