Il dolore non si giudica. Ma adesso tifiamo per la vita

È difficile capire il dolore altrui e forse è sbagliato commentare le scelte di chi non conosciamo, anche se ci sentiamo, per vie misteriose, a lui, o in questo caso a lei, vicini

Il dolore non si giudica. Ma adesso tifiamo per la vita
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È difficile capire il dolore altrui e forse è sbagliato commentare le scelte di chi non conosciamo, anche se ci sentiamo, per vie misteriose, a lui, o in questo caso a lei, vicini. Ma nessuno qui vuole giudicare, preferiamo provare a capire. La splendida ragazza nella foto qui accanto si chiamava Caroline March e aveva 31 anni. Era una cavallerizza, prima di un tragico incidente, durante una gara, a causa del quale ha perso l'uso delle gambe. Sabato scorso, la donna inglese ha fatto ricorso al suicidio assistito, lasciando una lettera come postrema testimonianza di una vita divenuta insopportabile: «Non è l'esistenza che voglio». E ancora: «Il mio massimo rispetto per chiunque non solo si sia costruito una vita dopo un infortunio, ma ha anche prosperato. Mi tolgo il cappello davanti a voi, siete davvero una fonte di ispirazione, ma io non sono così. Ho provato a fare cose, sport, attività per darmi la migliore possibilità di riprendermi o almeno accettare una vita così. Qualcuno ha cercato di farmi cambiare idea ma non c'è riuscito. Lo ringrazio».

Il dolore ci affonda e tutti cerchiamo qualcosa alla quale aggrapparci per restare a galla. È sfiancante, e può venire la tentazione di lasciarsi andare e cadere nell'oblio. Forse, e lo diciamo a bassa voce, con rispetto, è quello che è successo a Caroline, la bellissima Caroline alla quale ora vorremmo suggerire che la vita è sempre pronta a sorprenderti soprattutto quando sembra di essersi smarriti nella foresta della sofferenza fisica e mentale. Questa certezza può essere invisibile in un mondo che sottolinea, con invadenza e perseveranza, il possesso, il consumo acefalo, la posizione sociale, il qui e ora. Nessuno si realizza veramente in questa corsa all'effimero che nasconde, neanche troppo, una pulsione di morte. Senza dimenticare la concreta umanità di Caroline, questa vicenda forse ci lascia intravedere un passaggio storico.

Ma ancora vorremmo dire a Caroline, se solo potessimo, con un filo di voce che non è rimprovero (come potremmo?): accetta la vita comunque sia, non perché la vita resti tale ma per cambiarla. Intanto diciamo sì: sì alla vita, sì alla carne, sì all'intelligenza, sì al respiro che ci hanno dato la madre e il padre. Sì e ancora sì, anche se sembra di schiantarsi ogni istante contro un muro, perché al di là del muro potrebbe esserci un dono inaspettato.

Quanto alla nostra miserabile società, essa ci spinge a dire no, sempre prima, sempre più presto,

come fossimo inservibili giocattoli spezzati, materia in attesa di dissoluzione, carne pronta a marcire. Non è così. Tu Caroline, lo sapevi, ma non è bastato, e di questo siamo tutti colpevoli, anche se ci sentiamo assolti.

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