La Corte penale internazionale si è mossa contro Israele e Hamas. Il procuratore capo Karim Khan ha presentato richiesta di fronte alla Camera Preliminare I per l’emissione di mandati di arresto nei confronti sia del primo ministro di Tel Aviv Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant, sia di tre capi dell’organizzazione terroristica palestinese, Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Hanyieh, per presunti crimini di guerra e contro l’umanità nei territori palestinesi e nello Stato ebraico.
Stando a quanto riportato dal Times of Israel, il premier israeliano e il ministro Gallant sono accusati di "aver causato lo sterminio, aver causato la fame come metodo di guerra, compresa la negazione di forniture di aiuti umanitari, aver deliberatamente preso di mira i civili durante il conflitto". Il procuratore Khan ha aggiunto anche che “gli effetti dell'uso della fame come metodo di guerra, insieme ad altri attacchi e punizioni collettive contro la popolazione civile di Gaza sono acuti, visibili e ampiamente conosciuti. Comprendono malnutrizione, disidratazione, profonda sofferenza e un numero crescente di morti tra la popolazione palestinese, compresi neonati, altri bambini e donne”. Nel mandato rivolto ai tre leader di Hamas, invece, si parla di “sterminio, omicidio, presa di ostaggi, stupro e violenza sessuale durante la detenzione”.
Durissima la reazione del mondo politico israeliano. "Lo Stato di Israele si è imbarcato nella guerra più giusta, dopo il massacro dei suoi cittadini da parte di un'organizzazione terroristica. Lo Stato di Israele combatte nel modo più morale della storia, rispettando il diritto internazionale e dispone di un sistema giudiziario forte e indipendente", ha dichiarato il ministro Benny Gantz. "Mettere i leader di un paese che è andato in battaglia per proteggere i suoi cittadini, sulla stessa linea dei terroristi assetati di sangue, è cecità morale e una violazione del suo dovere e della sua capacità di proteggere i suoi cittadini". Il leader di Tel Aviv ha anche sottolineato che accettare la posizione del procuratore capo sarebbe "un crimine storico che non scomparirà". Una fonte di alto livello isrealiana ha affermato al quotidiano Ynet di considerare la decisione del procuratore "ipocrita e imbarazzante a livello internazionale", e che la decisione ha lasciato "scioccati" i funzionari ebraici.
Nel caso in cui si dovesse procedere all’emissione dei provvedimenti, i 123 Paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma della Cpi sarebbero obbligati ad arrestare i bersagli delle misure qualora dovessero mettere piede nel loro territorio. L’effettiva attuazione dei mandati, però, sembra abbastanza complessa. Per quanto riguarda i leader di Hamas, il capo dell’ufficio politico Ismail Hanyieh si trova in Qatar, una nazione che non fa parte della Corte. Negli ultimi mesi, inoltre, si è spostato più volte in Egitto, un altro Stato che non ha ratificato lo Statuto, per discutere della tregua. Di Sinwar e Deif, invece, non si conosce la posizione. Potrebbero trovarsi ancora a Gaza e, nel caso in cui le Idf dovessero riuscire a catturarli, verrebbero processati e rinchiusi nello Stato ebraico.
Dal canto loro, Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant possono valersi sia del fatto che Israele non ha sottoscritto lo Statuto, sia dello “scudo” degli Stati Uniti, nazione chiave che non riconosce l’autorità del tribunale dell’Aia e che potrebbe fare pressioni sulla Corte affinché non porti avanti il procedimento.
Già ad inizio maggio, quando il procuratore capo Karim Khan aveva dichiarato che la sua squadra stava indagando su presunti crimini di guerra compiuti a Gaza, Washinton aveva fatto sapere di “non essere favorevole” all’emissione di mandati di cattura rivolti alla leadership ebraica. La situazione, dunque, potrebbe evolversi in modo simile a quanto accaduto per l’ordine di arresto indirizzato contro Vladimir Putin, il cui obiettivo principale era rendere il presidente russo un “paria” internazionale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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