Hamas rapisce un bambino di 12 anni, il dolore della sorella su WhatsApp: "È la fine"

Il racconto di Gaya Calderon ai giornalisti israeliani. Era a Tel Aviv, ma ha vissuto in diretta gli attacchi palestinesi tramite i messaggi che le arrivavano dai familiari vicino la Striscia di Gaza

Hamas rapisce un bambino di 12 anni, il dolore della sorella su WhatsApp: "È la fine"
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Il brutale assalto di Hamas, con una raffica di razzi nel sud di Israele, ha sconvolto la vita di civili e numerose famiglie. Gaya Calderon sabato mattina era nella sua casa di Tel Aviv, lontana dai luoghi del blitz terroristico, ma ha vissuto in diretta il sequestro del fratellino Erez tramite i messaggi che le arrivavano dai familiari nel kibbutz Nir Oz, una piccola comunità di 400 persone nel deserto del Negev nordoccidentale, neppure un chilometro dalla Striscia di Gaza.

"Ho vissuto lì tutta la mia vita, conosciamo questi razzi", ha raccontato in una conversazione Zoom con i giornalisti citata dal Times of Israel. La 21enne si era di recente trasferita a Tel Aviv, dopo essere cresciuta nel kibbutz dove vivono i suoi genitori e fratelli minori: Rotem di 18 anni, Sa'ar di 16 anni, Erez di 12 anni.

La mattina del 7 ottobre Gaya ha appreso la notizia degli attacchi palestinesi: "Ho chiamato i miei genitori, mi hanno detto che non era mai stato così, ma ho risposto loro che sarebbe andato tutto bene e che sarei tornata a dormire". Il suo sonno è stato però turbato dalla telefonata di un amico: "Ehi, lo sai che Hamas e il Jihad islamico sono nel kibbutz?". Immediatamente ha tentato di chiamare la famiglia, senza ottenere risposta. In seguito è stata raggiunta da un loro messaggio in cui dicevano che non potevano rispondere e che dovevano restare in silenzio.

Durante la giornata sono arrivati altri messaggi su WhatsApp che documentavano in diretta quanto stava accadendo. Il primo è stato quello della sorella Sa'ar: "Sono così spaventata, Gaya, voglio piangere", seguito dal nuovo invito a "non mandare più messaggi". La 16enne era nascosta con il padre mentre i terroristi entravano in casa. Sulla chat di famiglia ha aggiunto: "Mamma, ti voglio bene", poi più nulla.

La madre, che vive in un'altra abitazione dello stesso kibbutz, a sua volta ha scritto: "Gaya, ho sentito degli spari, credo che questa sia la fine". Era nella sua stanza quando i terroristi hanno cercato di aprire la porta, ma ha impedito loro di entrare attaccandosi con tutte le forze alla maniglia. Anche il fratello di 18 anni, che vive nel kibbutz, è sopravvissuto. La sua casa è stata distrutta e in parte incendiata.

Gaya stava pregando e sperando per il meglio, quando ha ricevuto un breve clip. "Era un video di mio fratello Erez - ha raccontato facendo riferimento al piccolo di casa, 12 anni - Un terrorista lo stava afferrando, tenendolo. Non ho visto sangue su di lui, quindi posso solo sperare che stia bene". Degli altri nessuna notizia: "Non so dove siano mia sorella, mio padre, mia nonna e mio cugino".

Da allora, dice Gaya, "resto a casa e piango tutto il giorno, sono impotente", ma aggiunge: "Ho fiducia nel mio Paese. Voglio riavere la mia famiglia. Aiutateci per favore".

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