"Mi aspetto una pena severa per dare giustizia e dignità a mio figlio e perché queste cose terribili non accadano mai più". Sono parole intrise di rabbia e disperazione quelle di Federica Sabellico, mamma di Thomas Bricca, il 19enne ucciso con un colpo di pistola alla testa la sera del 28 gennaio scorso mentre si trovava nella zona "Girone" di Alatri. Martedì mattina sono stati arrestati per l'omicidio Roberto e Mattia Toson, padre e figlio, 47 e 22 anni. Stando alla ricostruzione della procura, il delitto sarebbe maturato in un contesto di risse violente tra bande rivali e dunque Thomas sarebbe stato ammazzato per uno scambio di persona. Uno scenario emerso dopo sei mesi di indagini, grazie anche ad alcune preziose testimonianze.
Il dolore della mamma di Thomas: "Non voglio i soldi sporchi di sangue ma giustizia"
Ieri mattina, quando i presunti responsabili dell'omicidio sono stati arrestati, Federica Sabellico si è abbandonata a un pianto liberatorio. "Ho pianto per il dolore, ma anche per la rabbia - racconta a Il Messaggero - Poi ho portato un mazzo di fiori dove è stato ucciso mio figlio e sono andata al cimitero tutti i giorni. È stato come mettere un certotto su una ferita che però resta aperta, ma è un sollievo sapere che sia stata fatta giustizia e quella gente non stia più a spasso". Come è emerso da una intercettazione, i Toson si sarebbero preoccupati dei risarcimenti: "Io ai risarcimenti non ci ho pensato, non esiste cifra per risarcire la perdita di un figlio. - continua la mamma di Thomas - Qualora fosse daremo tutto in beneficenza per progetti a delle comunità di recupero. Dei soldi sporchi di sangue non ne vogliamo sapere niente. Non sarebbe rispettoso neanche nei confronti di Thomas". Nel corso della conferenza stampa di ieri, indetta dal procuratore Antonio Guerriero, gli inquirenti hanno parlato di "omertà". "Non da parte nostra. - precisa Federica Sabellico -La comunità alatrese ha collaborato fin dal primo minuto. Gli amici di Thomas e tanti ragazzi hanno parlato senza paura. L'omertà c'è stata nel giro dei Toson, questo lo vogliamo precisare". Poi conclude: "Mi hanno detto che Mattia (Toson ndr) ha pianto quando è stato arrestato. Da un lato mi fa pena perché ha la stessa età di mio figlio, ma poi penso a quello che ha fatto e mi viene rabbia. Il perdono è una parola grossa. A me hanno strappato il cuore e una donna senza cuore non può perdonare".
La svolta nelle indagini
A segnare una svolta decisiva nelle indagini è stata la denuncia della fidanzata di Mattia Toson, Beatrice. Insospettita da una serie di circostanze, la ragazza ha deciso di rivolgersi ai carabinieri. La sera dell'omicidio aveva notato che il cellulare del fidanzato era inspiegabilmente staccato. Non solo: aveva rinvenuto all'interno del bagagliaio della sua auto un casco bianco integrale. E infine, Mattia le aveva chiesto di custodire 30mila euro in contanti, forse il provento dello spaccio di droga in cui il 22enne sembrerebbe coinvolto. Non meno rilevante è stato un messaggio inviato da Elenia, ex moglie di Roberto e madre del giovane arrestato, tanto impegnata nella difesa del figlio quanto nella ricerca della verità, inviato al papà di Thomas: "Avrei voluto parlarti, dirti che sono con te ma di riflesso sono la mamma ed ex moglie di quel pezzo di m.... Anche se per rabbia vorresti condannare anche a me, non lo fare".
L'omicidio e i tentativi di depistaggio
Stando a quanto ricostruito dalla procura, l'omicidio sarebbe scaturito da una vendetta tra bande rivali che, secondo il pm, si contendevano la piazza dello spaccio di droga ad Alatri. Nel mirino di padre e figlio ci sarebbe stato Omar Hauodi che, due giorni prima, aveva partecipato a una rissa nel quale un loro parente, Francesco Dell'Uomo, era rimasto ferito. Ma per una tragica fatalità del destino, la sera del 28 gennaio, Thomas indossava lo stesso giubbotto bianco di Haoudi: è morto dopo essere stato raggiunto da un colpo di pistola alla testa che non era destinato a lui. A sparare sarebbe stato Mattia Toson mentre Roberto guida lo scooter T-Max, entrambi col volto coperto da un casco integrale. I due, attenzionati dagli inquirenti sin da subito, per sei mesi hanno tentato di depistare le indagini. La nonna del ragazzo, Luciana Coccia, avrebbe partecipato alla bonifica delle cimici investigative piazzate sulle auto degli indagati.
Per gli inquirenti sarebbe stata la "mente strategica della famiglia, capace di prevedere in taluni casi con ampio anticipo le mosse degli inquirenti, grazie al frutto della sua ultradecennale esperienza lavorativa negli uffici giudiziari del tribunale di Frosinone, con funzioni di cancelliera anche presso l’ufficio gip.".
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